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Gli effetti (potenzialmente dirompenti) della sentenza di Civitavecchia sugli altri porti italiani

La sentenza del Tar del Lazio che ha bocciato il ricorso di Roma Terminal Container contro Civitavecchia Fruit Forest Terminal per l’imbarco e sbarco presso la banchina pubblica del porto di container reefer carichi di ortofrutta, secondo alcuni esponenti del mondo legale potrebbe avere ripercussioni particolarmente impattanti sul futuro degli scali marittimi. In primis viene […]

di Nicola Capuzzo
23 Gennaio 2020
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La sentenza del Tar del Lazio che ha bocciato il ricorso di Roma Terminal Container contro Civitavecchia Fruit Forest Terminal per l’imbarco e sbarco presso la banchina pubblica del porto di container reefer carichi di ortofrutta, secondo alcuni esponenti del mondo legale potrebbe avere ripercussioni particolarmente impattanti sul futuro degli scali marittimi.

In primis viene fatto notare a SHIPPING ITALY che una sentenza (la n.734) del Tar di Reggio Calabria del 2018, a proposito di un caso molto simile, aveva affermato: “Non dimostra di possedere, da un punto di vista strutturale, i requisiti di capacità tecnico-operativa richiesti per svolgere le attività di operazioni portuali l’impresa che si rivolge sistematicamente ad altro operatore economico, con contratto non riconducibile (o riducibile) al nolo a caldo o ad altra forma di locazione, pure ammessi dallo specifica normativa portuale, ma a subappalto dell’intero ciclo delle operazioni portuali di carico e scarico (c.d. ciclo nave)”. Il tribunale amministrativo laziale ha invece sentenziato il contrario.

La stessa fonte legale fa notare poi che, a proposito della sentenza appena pronunciata dal Tar Lazio sul caso Rtc – Cfft, secondo quanto deciso dai giudici parrebbe che “per svolgere attività terminalistica in Italia non occorra dotarsi di una concessione ex art. 18 L. 84/94, risultando sufficiente disporre di un’autorizzazione ex art. 16 della medesima legge. E’ possibile fare i terminalisti pur senza possedere gru di banchina, che potrebbero essere di volta in volta, quando necessario, noleggiate a caldo da un’impresa ex art. 16 L. 84/94”.

Ma ancora: “Posto che i container rappresenterebbero semplicemente una modalità operativa per la movimentazione della merce, in porto si potrebbero movimentare ovunque container a prescindere dalle specifiche previsioni del Piano Regolatore Portuale. Sulla base di questi presupposti, è del tutto evidente – innanzitutto – che nessuna impresa avrebbe più interesse a ottenere e/o mantenere una concessione ex art. 18 L. 84/94”.

Se fosse effettivamente confermata questa lettura dei fatti e della sentenza, un terminalista ex art.18 potrebbe in effetti riconsiderare il pagamento di un canone concessorio, l’acquisto e il mantenimento di beni e di personale, gli obblighi di manutenzione ordinaria e straordinaria del sedime e il rispetto degli impegni assunti in termini di volumi di traffico e investimenti. Il quesito di fondo dunque sarebbe: perché un’azienda dovrebbe impegnarsi come terminalista art.18 se si può svolgere la stessa identica attività – molto più semplicemente ed economicamente – con un’autorizzazione ex art. 16 L. 84/94?

Rispetto a un concessionario ex art. 18 L. 84/94, un’impresa autorizzata ex art. 16 della medesima legge deve pagare soltanto un canone autorizzativo (molto più basso di un canone concessorio), non deve effettuare gli investimenti in termini di mezzi e personale che competono ad un terminalista, non è soggetta ad alcun obbligo di manutenzione ordinaria e straordinaria del sedime, non è soggetta a prescrizioni e responsabilità in materia di safety e security posto che opera sulla banchina pubblica e non è tenuta a rispettare particolari impegni in termini di volumi di traffico ed investimenti.

“È ovvio che, alla luce di quanto precede, l’impresa concessionaria ex art. 18 L. 84/94 si trovi a sopportare un carico di costi e responsabilità incomparabile rispetto a quello di un’impresa portuale autorizzata ex art. 16 L. 84/94. Eppure, secondo la tesi del TAR Lazio, le due imprese in questione potrebbero svolgere la stessa identica attività ed essere quindi tra loro concorrenti” sottolinea ancora la stessa fonte legale a SHIPPING ITALY. “Non è neppure il caso di precisare che l’impresa autorizzata ex art. 16 L. 84/94 – per le ragioni appena esposte – sarà chiaramente in grado di offrire i propri servizi ad un prezzo molto più basso dell’impresa terminalistica”.

Secondo quanto deciso dal Ter Lazio, infatti, sembra essere possibile, per esempio, lavorare noleggiando a caldo le gru di banchina solo quando effettivamente servono (quindi soltanto quando si ha la nave accostata in banchina). “Perché, allora, investire in costosissime gru se è possibile noleggiarle a piacimento solo quando serve? È chiaro che nessun terminalista avrà più interesse ad acquistare gru di banchina. E questo è solo un banale esempio di come la pronuncia del Tar potrà andare ad incidere sull’assetto della nostra industry” viene evidenziato.

La sentenza del Tar Lazio, poi, sempre secondo la medesima fonte abbatterebbe con un sol colpo anche tutto ciò che hanno rappresentato fino ad oggi i piani i regolatori portuali (Prp).

“Eravamo abituati a pensare (come la giurisprudenza ci aveva insegnato) che i PRP avessero lo scopo di definire regole, criteri e modalità di utilizzazione delle aree portuali. Ebbene, nel caso di specie il Tar Lazio ha dato un’interpretazione talmente “elastica” del Prp tale da poter legittimamente sostenerne – all’esito di tale interpretazione – l’assoluta inutilità. Secondo il tribunale amministrativo regionale, infatti, sarebbe possibile gestire un traffico di contenitori in un’area destinata alle merci convenzionali, per di più in un caso in cui il PRP prevede una differente area destinata specificamente ed esclusivamente alla movimentazione dei contenitori. Sulla base di questi termini, pare legittimo ritenere invero superate tutte le limitazioni previste da qualsiasi Prp, con buona pace delle imprese che – sulla base di tali Prp – hanno elaborato i propri piani di impresa ed effettuato ingenti investimenti per le proprie attività” viene ancora rilevato.

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