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I nuovi costi minimi dell’autotrasporto non precludono la libera negoziazione del compenso

Contributo a cura di avv. Davide Magnolia e avv. Carlo Solari * * Lca Studio legale  Il Decreto Direttoriale numero 206 del 27 novembre 2020 pubblicato dal MIT, contenente i valori indicativi dei costi di esercizio dell’autotrasporto (la cui struttura ricalca il modello della forcella, con valori minimo-massimo), ha riportato in auge la vexata quaestio […]

di Nicola Capuzzo
3 Dicembre 2020
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Contributo a cura di avv. Davide Magnolia e avv. Carlo Solari *

* Lca Studio legale 

Il Decreto Direttoriale numero 206 del 27 novembre 2020 pubblicato dal MIT, contenente i
valori indicativi dei costi di esercizio dell’autotrasporto (la cui struttura ricalca il modello
della forcella, con valori minimo-massimo), ha riportato in auge la vexata quaestio dei costi
minimi che era stata accantonata dalla precedente riforma dell’autotrasporto in ossequio,
anche, ai principi eurounitari in materia antitrust.

Partiamo da due punti fermi. Il primo è che il legislatore ha prima abolito il vecchio impianto delle tariffe a forcella (con il disposto dell’articolo 4 del D. Lgs. 21.11.2005 n. 286 secondo cui “i corrispettivi per i servizi di trasporto sono determinati dalla libera contrattazione delle parti”) e in seguito, in applicazione dei principi espressi nella sentenza della Corte di Giustizia Europea 4 settembre 2014 C-163/2013, ha cancellato anche il sistema di regolazione obbligatoria dei costi minimi di esercizio di cui all’originario art. 83 bis del D.L. 112/2008. In particolare, la legge 190/2014 (legge di stabilità 2015) ha riscritto il comma 4 dell’articolo 83 bis del D.L. 112/2008 sancendo il principio secondo cui “nel contratto di trasporto, anche stipulato in forma non scritta, di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 286, e successive modificazioni, i prezzi e le condizioni sono rimessi all’autonomia negoziale
delle parti, tenuto conto dei principi di adeguatezza in materia di sicurezza stradale e
sociale” e sostituendo ai “costi minimi” i “valori indicativi di riferimento”, la cui individuazione è stata demandata al MIT.

Il secondo punto fermo è che il Decreto Direttoriale, che non ha rango di legge (ma è un atto amministrativo ricognitivo), ha chiaramente specificato che i costi di esercizio non hanno natura cogente. In questo quadro sorge spontanea una domanda: che rilevanza giuridica hanno i costi indicativi di esercizio individuati dal Decreto Direttoriale nel contesto del generale principio di libera negoziazione dei compensi? Occorre allora fare un passo indietro a valle dell’entrata in vigore proprio della legge 190/2014 (legge di stabilità 2015). In data 25 febbraio 2015, il MIT aveva provveduto a effettuare la prima pubblicazione dei costi indicativi di esercizio. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), con parere n. S 2136, aveva però segnalato i potenziali effetti distorsivi delle pubblicazioni sulle dinamiche
concorrenziali. Il 9 luglio 2015 il MIT aveva dunque provveduto a una nuova pubblicazione con l’intento espresso di non creare gli effetti distorsivi sul mercato segnalati dall’AGCM. Di particolare interesse interpretativo risulta questo passaggio “per rispettare il dettato normativo, e al contempo tenere conto delle segnalazioni dell’AGCM, pertanto, la presente pubblicazione non può che fornire all’impresa di autotrasporto ed al committente elementi utili per la autonoma individuazione dei costi del servizio di trasporto”.

Ed è proprio questa precisazione che consente di conciliare il principio della libera determinazione del compenso con i costi minimi individuati dal MIT che, in quanto privi di
efficacia cogente, da un lato non potranno imporre alla committenza livelli tariffari minimi e,
dall’altro, non potranno autorizzare il vettore a promuovere un’azione per recuperare l’eventuale delta, principio avallato anche dalla giurisprudenza formatasi a seguito della
pronuncia della sentenza della Corte di Giustizia Europea 4 settembre 2014 C-163/2013.

Dunque, i costi indicativi di riferimento potranno (ma non dovranno) essere utilizzati dalle parti come parametro per negoziare l’ammontare del compenso del singolo trasporto alla luce dei “principi di adeguatezza in materia di sicurezza stradale e sociale”. Infine, non si può escludere che i valori indicativi dei costi di esercizio potranno essere presi in considerazioni (anche) in tutte quelle controversie tra committenza e vettore in cui si faccia questione del livello di servizio (o disservizio) prestato dal vettore.

Per concludere, quindi, il Decreto Direttoriale costituisce l’ultimo passaggio, in ordine di tempo, di un processo che ha preso le mosse dal superamento delle tariffe a forcella. La rilevanza interpretativa del provvedimento risiede nel fatto di aver chiarito che tali parametri non hanno natura cogente ma meramente indicativa, lasciando spazio aperto all’autonomia negoziale. Se poi nella pratica i valori indicativi dei costi di esercizio potranno rappresentare dei limiti indiretti all’autonomia negoziale, questi limiti sono ancora tutti da individuare.

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