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Tassazione porti, la Commissione Ue controricorre: le AdSP svolgono anche attività economica

Depositato ad aprile il ricorso delle Autorità di Sistema Portuale italiane e di Assoporti contro la decisione della Commissione Europea di intimare all’Italia l’abolizione per quegli enti dell’esenzione dal pagamento delle imposte (Ires), è stata la volta degli uffici legali di Bruxelles, lo scorso luglio, a presentare al Tribunale dell’Unione Europea il proprio controricorso. Sono […]

di Nicola Capuzzo
24 Agosto 2021
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Porto Livorno veduta aerea

Depositato ad aprile il ricorso delle Autorità di Sistema Portuale italiane e di Assoporti contro la decisione della Commissione Europea di intimare all’Italia l’abolizione per quegli enti dell’esenzione dal pagamento delle imposte (Ires), è stata la volta degli uffici legali di Bruxelles, lo scorso luglio, a presentare al Tribunale dell’Unione Europea il proprio controricorso.

Sono 42 pagine (che SHIPPING ITALY ha letto in esclusiva e che pubblica qui) in cui gli avvocati della Commissione Bruno Stromsky e Flavia Tomat controdeducono in punta di diritto tutti gli argomenti sollevati dallo staff legale ingaggiato dai porti italiani (Francesco Munari, Stefano Zunarelli, Gian Michele Roberti e Isabella Perego).

Al di là dei tecnicismi e della sofisticazione giuridici della schermaglia, emerge se possibile con ancora maggior chiarezza il nocciolo della questione. Per la Commissione le attività economiche svolte nel continente devono essere soggette alla normativa comunitaria, a prescindere dallo status giuridico di chi le svolge: un’esenzione fiscale, come qualunque aiuto di Stato – anche, come nell’ipotesi di specie, qualora il beneficiario sia un ente statale, le cui attività beneficiate sono però esercite in un mercato concorrenziale – ha margini di giustificabilità molto ristretti, in cui le AdSP non rientrano.

Questo, come è noto, è il perno della questione, più che l’esenzione Ires in sé e per sé, che vale alcune decine di milioni di euro. Se gli aiuti di Stato alle AdSP non sono generalmente possibili, l’intero sistema di infrastrutturazione portuale italiano fondato sulla mediazione politica al finanziamento statale a singole opere territoriali (con le frequenti, tragiche conseguenze in termini di superfetazione cementizia e dissanguamento delle finanze pubbliche) rischia di scomparire: uno scenario che terrorizza un’intera classe politica e buona parte di un mondo imprenditoriale abituato all’accollo a pantalone dei costi dell’infrastruttura da esso sfruttata economicamente.

Che poi il second best sia – come sembrano suggerire il disinteresse dello Stato mostrato dagli ultimi tre governi e come evocato dai ricorrenti stessi in caso di sconfitta – la trasformazione gattopardesca delle AdSP in Società per azioni a controllo pubblico è tutto un altro par di maniche (smentito peraltro dalla compatibilità alle normative unitarie di un sistema pubblicistico come quello spagnolo, peraltro il più performante in Europa negli ultimi 20 anni).

Rimanendo alla querelle, ad ogni modo, gli avvocati della Commissione insistono: “La natura giuridica dell’ente non è un aspetto dirimente ai fini dell’analisi: quello che conta è la natura delle attività esercitate dall’ente. Non vi è dubbio che anche le entità infrastatali possano esercitare attività economiche”. Ed è il caso secondo Bruxelles delle AdSP quando incassano corrispettivi per consentire l’accesso alle infrastrutture portuali, ossia ciò che nel nostro ordinamento viene definito come “tassa portuale” e “canone concessorio”, a prescindere dal fatto che i relativi importi siano fissati per legge (cosa vera solo parzialmente, per giunta, data la componente variabile dei canoni).

“A partire dal momento in cui lo Stato e gli enti pubblici svolgono attività economiche – ribadiscono Stromsky e Tomat – essi si qualificano come imprese, limitatamente allo svolgimento di dette attività, e ad essi si applicheranno dunque le norme in materia di aiuti di Stato”. Lo stesso argomento smonta l’applicazione agli interi redditi generati dalle Adsp dell’articolo 74 del Tuir – Testo Unico delle imposte sui redditi (esenzione per gli organi dello Stato), dal momento che tale articolo “non costituisce il sistema di riferimento” e che “l’esenzione dall’applicazione dell’imposta sul reddito delle società riguarda esclusivamente l’esercizio di funzioni statali e le altre attività svolte in via istituzionale”. La riscossione di corrispettivi a fronte della messa a disposizione di infrastrutture non sono attività di questo tipo.

Secondo i legali della Commissione, poi, non regge l’argomento per cui l’esenzione favorirebbe soggetti che non operano su mercati concorrenziali. I porti, si spiega dettagliatamente, competono con altre modalità (“un mercato concorrenziale più ampio”) sul fronte del trasporto di merci e persone. Ma “anche qualora sussistesse un monopolio legale e in Italia non vi fossero operatori in concorrenza con le AdSP per le attività in questione, è fuor di dubbio che vi è concorrenza a livello dell’Unione tra i diversi porti marittimi, in particolare sull’asse Nord-Ovest Italia / Francia del Sud, per attirare navi o altri prestatori di servizi”.

La palla, a questo punto, passa al Tribunale dell’Unione Europea, che verosimilmente si pronuncerà a inizio 2022. Nell’attesa, a partire da gennaio l’Italia sarà passibile di sanzioni, ma a Roma nessuno sembrerebbe curarsene, dato che, come accennato, non si registrano reazioni neppure a questo passaggio né si ha notizia di contromisure di sorta imbastite dal Governo Draghi.

Andrea Moizo

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