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Donne e shipping tra stereotipi di genere e (ancora poche) possibilità

Il dato principale è che sul lavoro femminile nei settori dello shipping e della nautica in Italia non ci sono dati (precisi, aggiornati, completi). Questa assenza – sottolineata più volte nel corso del convegno “Un mare in rosa”, organizzato da Usclac e che si è svolto a Viareggio – rappresenta probabilmente il limite più grande […]

di Nicola Capuzzo
26 Novembre 2021
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Usclac convegno donnee shipping

Il dato principale è che sul lavoro femminile nei settori dello shipping e della nautica in Italia non ci sono dati (precisi, aggiornati, completi). Questa assenza – sottolineata più volte nel corso del convegno “Un mare in rosa”, organizzato da Usclac e che si è svolto a Viareggio – rappresenta probabilmente il limite più grande e il primo nodo da risolvere per ogni discorso pubblico sullo stato dell’occupazione femminile in ambito marittimo, che possa andare cioè al di là della (pure interessante) esposizione di esperienze professionali individuali o casi di studio specifici.

Esposizione che pure è stata ampiamente fatta nel corso dell’evento, che ha visto la presenza di un ricco numero di esponenti dello shipping e della nautica al femminile: imprenditrici, dirigenti, rappresentanti di istituti di ricerca e di associazioni di categoria (nonché di qualche uomo, in particolare da quest’ultime). Ampia la rappresentanza di associate a Wista Italy: Paola Tongiani (presidente), Michela Fucile, Paola Vidotto, Carolina Villa, Susy de Martini e Lucia Nappi.

Qualche dato, seppur parziale o datato, è comunque emerso. Palmira Petrocelli, presidente dell’Istituto Italiano di Navigazione e già direttore generale di Ipsema, ha ricordato come secondo l’ultima ricerca in materia (che risale però al 2008) le “donne sul mare”, ovvero quelle imbarcate su navi battenti bandiera italiana, fossero circa l’1-1,2% del totale dei marittimi, numero all’incirca in linea con quelli che risultano oggi ad Assarmatori. Rodolfo Magosso, della Commissione lavoro e relazioni industriali dell’associazione, ha infatti evidenziato come tra le shipping company associate la presenza femminile risulti infatti pari all’1,9% per il personale navigante e al 30% per quello di terra.

Una quota in ogni caso di netta minoranza, frutto secondo Magosso della presenza di “forti stereotipi”, della “minore propensione allo studio delle materie Stem” (espressione un po’ infelice, poi riveduta e meglio argomentata da Magosso che ha spiegato di intendere che “anche coloro che si laureano in queste discipline hanno comunque minori possibilità di entrare nel settore”). Rispetto invece alle poche donne che scelgono questo settore uno stimolo, ha evidenziato, sarà rappresentato sul fronte delle pari opportunità sul posto di lavoro dalla recente Legge 162/2021, che inserisce un sistema di certificazione e conseguente premialità per le aziende virtuose e inasprisce l’apparato di sanzioni e controlli.

Gli effetti positivi che sarebbero garantiti da una maggiore presenza femminile nel settore sono stati ribaditi più volte, anche se, va detto, spesso ricorrendo all’uso di stereotipi, benché senz’altro ‘benintenzionati’ e di tono positivo (le donne sono “più brave di noi”, “con maggiori capacità di imparare”, tutte “orientate al problem solving” e via dicendo).

Sul tema qualche punto fermo è stato messo con maggior rigore scientifico da Azzurra Rinaldi, docente di Unitelma Sapienza, che ha citato diverse ricerche (curate dalla Università di Perth, da McKinsey’s e da S&P) secondo le quali le aziende in cui le donne prendono il comando nelle vesti di Ceo o entrano nei board vivano in media una crescita di alcuni punti percentuali del loro fatturato. Più in generale Rinaldi ha ricordato come le qualità e le soft skills che spesso vengono attribuite monoliticamente al genere femminile non siano caratteristiche innate ma culturalmente determinate, sviluppate cioè proprio in adattamento a contesti (anche professionalmente) meno favorevoli.

Un esempio di lavoro femminile in un ambiente senz’altro ‘meno semplice’ è stato offerto da Valeria Poggi, crewing department manager di Fratelli D’Amico, che ha descritto – tramite la voce delle stesse protagoniste – l’esperienza delle prime quattro ragazze imbarcate sulle navi della compagnia, che ha una flotta di cinque petroliere.
Dalle loro parole, probabilmente le più interessanti della giornata, è emersa tutta la complessità del ritrovarsi a lavorare quotidianamente in un contesto quasi completamente maschile, in un difficile equilibrio tra stereotipi da smontare (anche quelli di chi, in buonafede nel tentativo di ‘proteggerle’ dalle durezze della vita di bordo, finiva ad esempio col privarle di alcune opportunità formative) e differenze che è comunque necessario affermare per non negare la propria identità. Un progetto “embrionale” che Fratelli D’Amico ha avviato grazie anche all’Its Caboto e che la compagnia intende ampliare, anche perché la valutazione finale di diversi comandanti è stata positiva perché “la presenza di una donna ha portato a creare un ambiente più sano e collaborativo per tutti”.

A rendere più semplice oggi la vita delle ragazze che si vogliono imbarcare – ha evidenziato inoltre Esther Marchetti, segretaria del Gruppo Giovani Armatori di Confitarma – è per fortuna oggi anche “l’innovazione tecnologica”, che rende certe attività “meno legate alla forza fisica”. Marchetti nel suo intervento ha anche citato le maggiori garanzie in materia di gravidanza e maternità introdotte nel Ccnl del lavoro del settore marittimo con l’ultimo rinnovo, che risale allo scorso dicembre, ma ha anche evidenziato: “Queste non sono mai questioni prioritarie sul piano negoziale, ma alla occupazione femminile va data centralità anche in queste sedi”.

F.M.

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