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Carenza di marittimi: “Gli armatori scontano la loro scarsa lungimiranza”

Prosegue il dibattito: non solo fra i marittimi, sono tante le voci che imputano alla parte datoriale responsabilità importanti, sia sulla consistenza dei salari che sulla formazione di lungo periodo

di Redazione SHIPPING ITALY
8 Luglio 2022
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Marittimo a bordo della nave Northstar Glory

Il tema è caldissimo e com’era logico l’intervista ad Alessandro Ferrari pubblicata da SHIPPING ITALY sulla asserita carenza di personale marittimo da parte delle compagnie armatoriali ha scatenato una ridda di reazioni e commenti, sulle cause e responsabilità più che sulla tangibilità e dimensione del problema, riconosciuta pressoché unanimemente.

Un dibattitto assai variegato, che cercheremo di riassumere in queste righe.

La problematica dell’appetibilità dei salari nelle qualifiche iniziali non è per Ferrari il primo fattore di spiegazione. Di tutt’altro avviso, invece, Lorenzo Panerai, comandante e auditor, secondo il quale è “in buona parte un problema di retribuzione”. A sostegno della propria tesi Panerai posta la busta paga di quando, nel 1992, da allievo su un rimorchiatore oceanico di Finarge (Rimorchiatori Riuniti), portava a casa più di 1,8 milioni di lire: “Esattamente 30 anni fa portavo a casa non in valore equivalente (reale, ndr), ma addirittura in valore assoluto (nominale) enormemente di più dell’elemosina che viene data a un allievo di oggi: 650 euro. Una assoluta vergogna. Chi si lamenta che non trova marittimi italiani – conclude Panerai – non può fare la verginella: chi piange lacrime di coccodrillo magari si è consolato facendo business con la formazione dei marittimi italiani, approfittando di leggi protezionistiche fatte ad arte per disattendere le direttive europee sul mutuo riconoscimento dei certificati di formazione”.

Anche più perentorio il collega G.D., comandante italiano in servizio per una compagnia straniera: “Le paghe sono molto ma molto basse, mentre il costo della vita in 5 anni si è triplicato. Ciò significa che la gente preferisce lavorare a terra. Perché? Perché un dipendente a terra lavora al massimo 8 ore al giorno per 5 giorni e guadagna 1.500 euro (la media), ciò significa che guadagnerebbe 4.500 euro se lavorasse 24 ore al giorno come noi”.

Il comandante evidenzia poi un’altra peculiarità del lavoro marittimo che a suo dire spiega la disaffezione per il medesimo, a fronte di retribuzioni inadeguate, cioè la non continuità del rapporto di lavoro: “Quando siamo a casa circa l’80%dei marittimi non percepisce più niente. Questo è disgustoso e sopprime tutti i principi del lavoratore. Quando sbarchiamo siamo solo in ferie e pronti a imbarcare, anche dopo una settimana a terra e dopo aver trascorso 4 o 5 e a volte 6 mesi a bordo. Se ci rifiutiamo spesso siamo licenziati o meglio non ci chiamano più perché tanto mica siamo impiegati a tempo pieno”.

Come tanti lettori dell’intervista di Ferrari, poi, G.D. è durissimo con il sistema dei corsi di formazione organizzati da accademie “che servono solo a far soldi sulla pelle degli allievi. E siccome non tutti possono permettersi almeno dai 7 a 10 mila euro, abbandonano. Gli allievi e chiunque inizia a navigare devono fare a proprie spese i corsi base e avanzati. I centri di formazione, compreso le accademie, sono in parte o totalmente gestite e di proprietà di alcune compagnie di navigazione, quindi un grande business”. Non manca un accusa al sindacato, reo di “averci abbandonato. Ecco perché adesso lavoro all’estero con una compagnia dove io marittimo sono trattato con coerenza e la mia dignità di lavoratore è tutelata dalla compagnia stessa. Cioè vengo trattato come un essere umano e non come un animale”.

Sul fronte della formazione tagliente e illuminante il parere di un esperto come Simone Quaranta, amministratore delegato della società Thesi, che offre una lettura di insieme con il problema salariale e ribalta la responsabilità di una carenza oggi severa di personale sulla scarsa lungimiranza di chi dovrebbe occuparsene in ottica di lungo periodo e non alla giornata: “La questione equipaggi, sottovalutata e sottostimata da chi fa impresa nel cluster marittimo, è un boomerang devastante, per assenza di pianificazione, programmazione e valutazione della indispensabile priorità delle risorse umane. Gli equipaggi sono visti come una voce di costo e non come asset aziendali”.

È qui il trait d’union, per Quaranta, fra salari e formazione: “Una logica che ha visto il forsennato sforzo di riduzione di stipendi e contratti di lavoro sempre più penalizzanti non giova ad una razionale visione del futuro di chi, con enormi sacrifici di affetti e emarginazione sociale, vede vanificare passioni e ambizioni professionali. Stipendi offensivi per allievi che devono pagarsi le certificazioni Stcw, senza alcuna garanzia di imbarco. Mesi, anni in attesa di un imbarco a 650 euro non sono una prospettiva allettante; mesi in attesa di una sessione di esami per titoli …gli equipaggi devono essere selezionati, formati, addestrati, aggiornati come ogni asset aziendale; essi gestiscono capitali ingentissimi di navi, carichi, servizi, con ritorno di assicurazioni, noli e quant’altro. Una formazione monopolizzata al ribasso da taluni centri, con grave effetto su qualità professionale ed etica del lavoro. Siamo distanti anni luce da uno shipping moderno, efficace ed efficiente”.

A.M.

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