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Politica&Associazioni

Becce: “Quello che serve e ciò che va evitato per i terminal e le imprese portuali italiane”

Il bilancio di fine anno a cura del presidente dell’associazione dei terminalisti portuali Assiterminal

di Redazione SHIPPING ITALY
28 Dicembre 2022
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Becce Luca (Assiterminal) NC 9422

(Questo articolo rientra fra i contenuti pubblicati all’interno dell’inserto “Un anno di SHIPPING in ITALY” – Edizione 2022 – CLICCA e LEGGI)

 

Contributo a cura di Assiterminal *

* presidente Luca Becce

 

Con l’ingresso del Gruppo Midolini Spa, Alkion di Vado Ligure e Gruppo Amoruso di Salerno, Assiterminal chiude il 2022 con un attivo di 83 operatori portuali associati. Imprese portuali (operazioni e servizi), Terminal Operators e Stazioni Marittime presenti in 30 porti, 4.700 persone che ogni giorno contribuiscono a movimentare il 60% dei container nei porti gateway, il 70% delle merci alla rinfusa, ovvero il 65% delle tonnellate complessive di merci che transitano per i porti italiani, nonché il 90% dei passeggeri crocieristi, per un fatturato complessivo vicino al miliardo di euro e un valore economico superiore ai 150 miliardi di euro.

Dopo due anni di pandemia, crisi energetica e conflitto ucraino l’evolversi della situazione economico-finanziaria del Paese e gli scenari internazionali che impattano su produzione e consumi continuano a mettere a dura prova la pianificazione organizzativa e finanziaria delle nostre aziende. È vero che si leggono numeri aggregati incoraggianti sui volumi di traffico del 2022 (su cui Assiterminal ha già avuto modo di dissentire in termini di metrica e di reali effetti sulla marginalità delle aziende di settore) che comunque ci riportano poco più che al 2019 e certamente non per tutti i nostri comparti (crociere ancora a -35% e con più transiti e meno home port).

Gli investimenti infrastrutturali nei porti si stanno avviando in un contesto di regole e costi ancora incerti.

Il dialogo tra pubblico e privato, governance e concessionari continua a essere destrutturato e ora si trona a parlare di autonomia differenziata con l’appannaggio di alcuni di rafforzare una regionalizzazione amministrativa per i porti: un ossimoro giuridico e economico! Il sistema della portualità per un Paese come l’Italia, pur con le tipizzazioni di alcuni porti sia dal punto di vista geografico che merceologico e di mercato di riferimento, dovrebbe essere oggetto esclusivo di una forte governance centrale (abbiamo già detto sul titolo V della Costituzione in proposito) per operare scelte specifiche in termini di investimenti e sviluppo.

Permane ancora anche una scarsa chiarezza sulla regolazione e regolamentazione del settore: auspichiamo che il novo Governo e il nuovo Parlamento si dimostrino capaci di ascoltare e di intraprendere un novo, urgente percorso di modernizzazione efficiente del sistema, valorizzando anche le nostre idee e proposte: qualche primo segnale iniziamo a percepirlo!

Il sistema produttivo dei porti (terminalisti e imprese) ha bisogno, come qualunque altro sistema industriale, di regole uniformi, criteri chiari, per l’organizzazione del lavoro, la pianificazione degli investimenti, l’efficientamento degli asset: non solo quindi regolamento sulle concessioni, target misurabili e misure incentivanti per lo sviluppo dell’intermodalità, semplificazioni vere e coraggiose (basterebbe prendere come benchmark altre realtà europee) per i dragaggi, ma anche chiara applicazione di criteri di riequilibrio economico finanziario, chiare misure per la sostenibilità energetica proprie e del cliente nave (anche attraverso l’estensione delle cd comunità energetiche ai privati). La prospettiva dei temi ESG per lo shipping impatta evidentemente anche sui porti e l’approccio non può essere demagogico pena la perdita di competitività della portualità e quindi della capacità di import-export del nostro tessuto industriale, nonché del sistema turistico funzionale alle crociere e ai traffici insulari.

La visione nord centrica della comunità europea deve trovare un diverso equilibrio guardando il Mediterraneo e i diversi contesti della sua sponda meridionale.

Resta anche ancora tutto da definire il tema, in primis europeo, di regole concorrenziali trasparenti e equilibrate tra i processi di integrazione nello shipping verso quelli che si originano e sviluppano da player logistici che non vengono dal mare: è evidente che per una corretta e sana competitività a parità di attività industriale deve esserci parità di trattamento fiscale.

In ultimo, ma non meno rilevante, un tema contingente: non è accettabile prevedere per il 2023 un’indicizzazione dei canoni concessori al + 25,5%, dopo un + 7.95% sul 2022. Oggi con forza chiediamo, tutti insieme, al Governo e al Parlamento che sia adottato immediatamente un qualunque provvedimento che impedisca il prefigurarsi di questo scenario che metterebbe evidentemente in discussione tutte le concessioni demaniali portuali e i rispettivi Piani Economico Finanziari, quantomeno dal punto di vista del loro riequilibrio.

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