Scatta il maxi-sciopero nei porti sulla costa Est degli Stati Uniti
L’International Longshoremen’s Association (Ila) protesta per le condizioni salariali ritenute inaccettabili offerte dalla United States Maritime Alliance (Usmx) per il nuovo contratto nazionale dei portuali
Salvo colpi di scena o cambi di programma al momento non previsti, ben 36 porti degli Stati Uniti affacciati sull’Oceano Atlantico entrano da oggi in uno sciopero che dovrebbe durare una settimana. Secondo Jp Morgan l’impatto economico negativo sul Paese potrebbe arrivare a 5 miliardi di dollari al giorno.
A proclamarlo è stato il sindacato dei lavoratori portuali International Longshoremen’s Association (Ila) che da tempo ha in atto un braccio di ferro contro l’associazione dei terminalisti portuali Usmx (United States Maritime Alliance) per il rinnovo del contratto nazionale. Coinvolti dalla protesta che dovrebbe paralizzare l’attività in banchina saranno tutti i terminal container che sorgono nei porti dal Texas fino al Maine. Oltre agli stipendi, sotto accusa da parte dei camalli americani è finita anche l’automazione delle gru e dei mezzi di piazzali per movimentare i container.
Nel mirino, più ancora che i terminalisti, sono finite le compagnie di navigazione accusate di avere stra-guadagnato con noli marittimi fino a 30.000 dollari per un container pieno ma non sono disposte a lasciare nulla nei porti scalati dalle loro navi (‘Make and Take operation’ è la definizione usata).
L’International Longshoremen’s Association nella sua ultima nota sottolinea che, mentre i vettori marittimi hanno incassato profitti miliardari, i portuali sono alle prese con un’inflazione crescente e i consumatori statunitensi pagano il conto del rincaro dei noli.
La cifra di 30mila dollari a container Feu in realtà è un valore di picco raggiunto un paio d’anni fa e da quel momento tali valori non si sono più raggiunti in tempi recenti.
Governi, imprese e consumatori a questo punto sono preoccupati per l’impatto che questo sciopero avrà sugli approvvigionamenti sia nel breve che nel lungo termine. In particolare si guarda con apprensione alla catena logistica di prodotti alimentari (banane in primis) e farmaceutici anche se i critical goods nei prossimi giorni non mancheranno sugli scaffali dei punti vendita.
I portuali coinvolti dalla protesta saranno sulla carta circa 45mila mentre i container che rimarranno fermi nei piazzali dei porti sono stimati in 100mila circa e 35 sono le portacontainer dirette verso i terminal oggetto di sciopero nei prossimi sette giorni (saranno costrette a rimanere alla fonda sena approdare in porto fin quando durerà lo sciopero). Indirettamente paralizzate saranno anche le attività di trasporto terrestre dei container via camion e ferrovia mentre gli effetti del ritardato e accumulato lavoro sulle navi portacontainer che si addenseranno davanti alle coste orientali degli Stati Uniti potrebbero far propagare gli effetti di questa protesta almeno fino a metà novembre (secondo alcuni anche fino a inizio 2025) quando saranno completamente smaltiti i ritardi e il lavoro accumulato nei prossimi (minimo) sette giorni.
Un altro immediato effetto di questo sciopero è il dirottamento di carichi da parte di caricatori e spedizionieri verso i porti statunitensi affacciati sull’Oceano Pacifico con conseguente congestionamento delle attività nei porti e in banchina. La Casa Bianca e l’amministrazione Biden hanno fatto sapere di non voler intervenire per bloccare lo sciopero che, oltre ai container, si prevede impatterà anche sull’import-export di veicoli nuovi in porti come Baltimore. Rinfuse liquide e secche non dovrebbe invece subire ripercussioni, così come non saranno colpiti dallo sciopero le navi da crociera e quelle militari.
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