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Trump fa tremare l’armamento italiano: l’84% delle nuove navi è stato ordinato in Cina

Paglia (banchero costa) analizza i fattori di incertezza e i rischi per i trasporti via mare con i dazi mentre Confitarma ha pubblicato uno studio sui possibili impatti per lo shipping nostrano

di Nicola Capuzzo
3 Aprile 2025
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Nave contro muro Usa

Genova – Dopo il ‘Liberation day’ statunitense e l’introduzione dei dazi preannunciati dall’amministrazione Trump, le incertezze regnano sui commerci globali e il trasporto marittimo teme un calo dei noli e dei ritorni economici.

Il Centro Studi di Confitarma ha pubblicato uno studio sui “Possibili impatti dei dazi Usa sull’industria dello shipping italiano” in risposta alle recenti conclusioni dell’indagine dell’Office of the United States Trade Representative (Ustr) sulle politiche commerciali cinesi. Il rapporto analizza le misure ipotizzate dall’Ustr, che includono dazi fino a 1,5 milioni di dollari per ogni scalo negli Stati Uniti di navi costruite in Cina o gestite da operatori con commesse in cantieri cinesi. Le simulazioni di impatto stimano sovraccosti portuali potenziali fino a 52 miliardi di dollari per lo shipping, con ricadute dirette sulla competitività dell’industria marittima e manifatturiera europea. Per una portacontainer da 10.000 Teu l’extracosto potrebbe essere di 400-600 dollari per ogni Teu, per una nave portarinfuse secche della classe capesize si parlerebbe invece di maggiori spese per 8-12 dollari a tonnellata, mentre una nave cisterna (product tanker) avrebbe un’incidenza di costi maggiore compresa fra 26 e 39 dollari per tonnellate trasportata.

Confitarma ricorda che gli Usa sono un partner strategico commerciale dell’Italia (il primo destinatario delle esportazioni dal nostro Paese al di fuori dell’Ue) con oltre 63 miliardi di euro, di cui oltre il 60% viaggia via mare, e secondo dopo la Cina per le importazioni nazionali con quasi 26 miliardi di euro, dei quali il 45% viaggia via mare. In tonnellate di merci trasportate, quasi il 100% delle importazioni e il 98,2% delle esportazioni italiane da e verso gli Usa viaggia via mare.

L’analisi della Confederazione Italiana Armatori evidenzia che oltre il 17% della flotta italiana è costruita in Cina, quota che sale all’84% considerando solo le nuove costruzioni attualmente ordinate dall’armamento italiano e previste in consegna entro il 2028. Le tipologie di naviglio potenzialmente più esposte sono le navi da carico secco, seguite da traghetti, chimichiere e petroliere.

Secondo Enrico Paglia, research manager di banchero costa & C. nonché professore all’Università di Genova, quanto annunciato da Trump “potrebbe essere un game changer per l’economia globale e quindi anche per i traffici marittimi”.

Intervenuto durante il convegno organizzato da Assagenti a Genova e dedicato al futuro dei broker marittimi, Paglia ha in primis mostrato quanto gli ultimi anni post-pandemia siano stati ricchi per gli armatori rispetto al trend dell’ultimo decennio, salvo spostare poi l’attenzione sui “fattori di volatilità molto importanti” che appaiono in questo momento. C’è “fortissima preoccupazione e incertezza rispetto allo sviluppo futuro del mercato fra gli operatori” ha evidenziato.

Una prima incognita importante è la seconda presidenza Trump degli Stati Uniti. “I dazi introdotti sono tasse enormi ma non dovrebbero avere una forte incidenza diretta sulla domanda di navi portarinfuse secche e liquide essendo gli Usa soprattutto esportatori di materie prime e solo in minima parte importatori, in particolare di cemento e acciaio. Più penalizzante saranno semmai le navi portacontainer”. Secondo Paglia a preoccupare dovrebbe essere semmai “il forte impatto atteso sull’economie emergenti del sud est asiatico, paesi che finora sono stati il motore dello sviluppo. Queste misure rischiano di rappresentare ‘The nail in the coffin’ (il chiodo sulla bara, ndr) sul processo di globalizzazione”.

Tradotto: queste politiche è possibile che portino a una domanda di trasporti marittimi inferiore in proporzione alla crescita dei Pil, che a loro volta potrebbero anch’essi decrescere. “Molto dipenderà – ha spiegato – dalle reazioni ai dazi americani da parte degli altri paesi. Teoricamente se le altre nazioni abbassassero i tassi, anche quelli applicati dagli Usa scenderebbero proporzionalmente (essendo misure reciproche)”.

Altro fattore da tenere in attenta considerazione sarà l’evoluzione del conflitto in Ucraina: cosa succederà ai trade di petrolio e al loro trasporto via mare quando una pace verrà trovata? “Se le sanzioni internazionali venissero rimosse si assisterebbe a un calo dell’indice tonnellate-miglia” e quindi una pressione al ribasso sui noli delle navi cisterna e petroliere. Ma a incidere saranno anche le sorti future della cosiddetta flotta ombra che oggi trasporta il petrolio russo aggirando le sanzioni internazionali. “Queste navi rientreranno sul mercato o andranno alla demolizione? Sono navi che hanno contravvenuto ai regolamenti internazionali e considerata la loro età avanzata dovrebbe essere avviate a demolizione” ricorda Paglia. Non è certo però che questo avverrà.

Altro motivo d’incertezza è quella che riguarda il piano annunciato dagli Stati Uniti per penalizzare finanziariamente gli operatori di navi cinesi e il tonnellaggio costruito in Cina. “Se questa misura davvero entrasse in vigore sarebbe un autogol per gli Usa perché penalizzerebbe economicamente le esportazioni americane. Oggi però gli armatori che vogliono comprare o vendere naviglio sono in attesa di capire cosa succederà perché questo fattore potrà influire sul valore di compravendite degli scafi”.

Fra le navi portarinfuse secche attualmente attive sul mercato, un quarto sono state costruite in Cina e sette su dieci fra quelle in costruzione sono state ordinate ai cantieri della Repubblica Popolare. Nel segmento delle navi portacontainer sette su dieci sono in costruzione in Cina. L’unico settore dove il Dragone ha un market share limitato a un terzo per le nuove unità in costruzione sono le navi cisterna dove invece la Corea del Sud detiene il primato.

Altro fattore da decifrare sarà quello relativo alla liberazione dalle macerie e alla ricostruzione della Striscia di Gaza che potrebbe tradursi in un’elevata domanda di acciaio, di cemento e quindi di minerali di ferro da trasportare via mare. “Inoltre la ricostruzione di Gaza significherebbe un ritorno alla possibilità di transitare in sicurezza in Mar Rosso cosa che oggi ancora non avviene” ha sottolineato il research manager di banchero costa, evidenziando come i transiti navali nel canale di Suez sono passati da 75 a 35 ogni giorno con gli attacchi degli Houthi, mentre le tonnellate di merci transitate sono scese da 3,9 a 1,5 milioni di tonnellate ogni giorno perché a deviare la propria rotta circumnavigando l’Africa sono soprattutto le grandi navi portacontainer.

“Nell’incertezza il mercato tende a rimanere fermo e a questa immobilità negli investimenti contribuiscono anche le nuove normative ambientali. L’incertezza tecnologica incide sulle navi nuove che, ordinate oggi, entrerebbero in servizio nei prossimi anni con una vita utile fino al 2050” ha concluso Paglia. Che infine ha detto di attendersi un rallentamento del trend relativo alle nuove costruzioni navali, rilevando che i prezzi delle newbuilding stanno cominciando a scendere ma rimangono ancora a livelli storicamente molto alti. “L’attività di demolizione è stata particolarmente bassa negli ultimi 7 anni e quindi l’età media della flotta si è alzata, dunque ci sarà tanto naviglio da demolire se i noli marittimi dovessero scendere molto” ha chiosato.

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