L’aggiornamento delle misure di regolazione nei porti da parte di Art: luci (e ombre)
I giuristi di Deloitte Legal passano in rassegna l’aggiornamento delle previsioni in materia di concessioni portuali appena varato dall’Autorità dei trasporti
Intervento a cura di
Prof. Avv. Francesco Munari e Avv. Andrea Bergamino *
* Deloitte Legal
Con la Delibera n. 69/2025 l’Art aggiorna e approfondisce notevolmente le misure introdotte nel 2018, e nei fatti si propone quale soggetto unificante le prassi amministrative, non sempre convergenti, esistenti nelle singole AdSP, in particolare con riferimento ai procedimenti e ai contenuti delle concessioni demaniali. Al riguardo, la prima buona notizia è che anche secondo l’Art concessioni e accordi sostitutivi vanno posti sullo stesso piano, come strumenti alternativi tra loro, ciascuno dei quali utilizzabile a seconda delle circostanze: e com’è noto, specie per le situazioni più complesse non vi è dubbio che l’accordo sostitutivo sia uno strumento preferibile, e che in tali situazioni il suo utilizzo riesca assai meglio a disciplinare i rapporti tra AdSP e concessionario. Analogamente, quanto ai requisiti di trasparenza e pubblicità sullo stesso piano vengono messi “bandi” e istanze di parte, nuovamente dando atto non solo della circostanza secondo cui, nei porti, questa seconda tipologia di procedimento è largamente prevalente, ma anche che gli obiettivi di trasparenza, equità e non discriminazione nell’accesso alle infrastrutture e ai servizi portuali sono assicurati anche quando il procedimento è innescato ex parte. Tra l’altro, questo consente di applicare queste misure anche ai rapporti esistenti, qualora siano oggetto di aggiornamenti o revisioni, come appunto si verifica molto spesso nella pratica, e come vuole espressamente realizzare l’Art nelle misure in commento.
Per concessioni e accordi sostitutivi (sia ex art. 18 della l. 84/94, sia ex art. 36 cod.nav.) l’Art si propone di individuare una disciplina che assicuri una maggiore coerenza con gli strumenti di programmazione portuale, come il Documento di Pianificazione Strategica di Sistema (Dpss) e il Piano Regolatore Portuale (Prp). Il proposito è buono e giusto, come si direbbe, ma per funzionare davvero richiede che questi documenti siano impostati in modo uguale dalle diverse AdSP: su questo è stata più volte, e opportunamente, annunciata dal viceministro Rixi una norma di chiarimento da parte del legislatore, che a questo punto diventa ancor più urgente, auspicabilmente anche in un’ottica di semplificazione e flessibilizzazione dei suddetti documenti programmatici, vista la rapidissima evoluzione del sistema.
Apprezzabile nella finalità, meno forse nel risultato, è la dettagliata parte del documento relativa alla durata delle concessioni: sacrosanto definirla in funzione degli investimenti e dei volumi di traffico previsti nel Piano Economico Finanziario (Pef) e nel Programma degli Investimenti (Pi), ma occorre tener conto del fatto che per alcuni comparti parlare di “limite superiore” e “limite inferiore” nella durata può essere rischioso: ad esempio, le infrastrutture del comparto industriale (come i bacini di carenaggio) hanno vita utile lunghissima, e ammortamenti conseguenti, spesso difficili da considerare in un contesto nel quale un nuovo investimento si confronta con investimenti preesistenti e concorrenti per altre decine di anni. Qualche perplessità suscita anche l’idea di chiedere alle AdSP di indicare i parametri di calcolo della durata delle concessioni, sia perché non tutte le AdSP sembrano attrezzate alla bisogna, sia perché il rischio di differenze di indicatori tra AdSP diversi potrebbe determinare distorsioni della concorrenza.
Altre perplessità, questa volta per sospetta invasione di competenze altrui, sorgono rispetto alla minuziosa disciplina sui canoni concessori introdotta da Art, nella quale vengono anche imposti ai concessionari obblighi stringenti di contabilità regolatoria. Temiamo in particolare non sarà facile assolvere all’onere richiesto da Art di separare le componenti economiche e patrimoniali delle attività regolate da quelle non regolate, vista tra l’altro la difficoltà di definire quali infrastrutture siano “essenziali” o meno in un porto e anzi in un terminal: la prassi certamente non aiuta, e viste le conseguenze sul piano antitrust che sorgono su un gestore di un’infrastruttura ritenuta essenziale, è possibile paventare qualche (giustificata) resistenza da parte del mercato rispetto a questa impostazione. Viceversa, l’idea di fare trasparenza sugli investimenti in funzione del calcolo di eventuali indennizzi per concessionari uscenti appare senz’altro apprezzabile, perché finalmente può essere un meccanismo per aprire la strada a una contendibilità “dinamica” del demanio, non legata a scadenze brevi dei titoli che determinano precarietà e scoraggiano investimenti, bensì a valutazioni qualitative di piani di impresa innovativi, la cui attuazione può determinare un accesso al mercato per un newcomer disponibile peraltro a pagare un “entry ticket” adeguato e commisurato agli sforzi realmente sviluppati dall’incumbent.
Problematico appare infine il suggerimento (l’obbligo?) di prevedere, quanto ai servizi forniti agli utenti portuali, requisiti minimi di qualità e un sistema di penali in caso di inosservanza: anche qui, in disparte da profili di competenza dell’Art al riguardo, paiono porsi difficoltà a intervenire sui rapporti esistenti, e comunque a garantire interventi che non alterino il level playing field tra concessionari “penalizzabili” e altri immuni da queste nuove prescrizioni. Non è poi chiaro perché, siccome i servizi portuali vengono resi in mercati concorrenziali, sia necessario aggiungere penali di natura regolatoria alle “sanzioni” contrattuali per cattiva performance del concessionario normalmente previste nei contratti con gli utenti del servizio. I quali, nella gran parte dei casi, hanno già un consistente potere di mercato nei confronti dei concessionari, che forse sarebbe bene riequilibrare in senso diverso da quello ipotizzato dall’Art; anche perché, quando il terminal è verticalmente integrato con l’armatore, è assai dubbia la possibilità e l’efficacia di “penali” del primo in caso di “disservizi” al secondo. Insomma, anche a questo riguardo qualche riflessione attenta dovrà porsi, onde evitare che eccessi regolatori indeboliscano, invece di sostenere, il settore portuale nel suo complesso. Se questo avvenisse, sarebbero traditi proprio gli obiettivi che l’Art si è posta con la sua delibera, e cioè quelli di promuovere lo sviluppo sostenibile (?) del sistema portuale, e contribuire anche a rafforzare la competitività dell’Italia nel contesto internazionale.
Resta un dubbio, che non possiamo risolvere qui: come abbiamo visto, non è così chiaro se, con queste misure, l’Art non abbia invaso competenze altrui. Nell’attesa di una riforma della legge 84/1994, magari un chiarimento al riguardo potrebbe diventare opportuna. Sempre che non siano i giudici amministrativi a regolare i confini.
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