Finanza, Ets, cantieri e sanzioni le preoccupazioni di Romeo, Messina e Fiori
Dalle parole di alcuni dei maggiori armatori italiani le criticità attuali con cui le aziende si trovano a dover fare i conti sui mercati del trasporto marittimo

Lugano (Svizzera) – Le navi nuove costano troppo caro, hanno tempi di consegna troppo lunghi, gli investitori si tengono alla larga dello shipping con il capitale di rischio, l’Ets può creare una distorsione concorrenziale e gli armatori devono fare due diligence sui certificati di origine dei carichi che imbarcano. Queste sono solo alcune delle criticità attuali emerse durante il convegno ‘Un mare di Svizzera 8’ al quale hanno partecipato primari esponenti dell’armamento italiano (di base o di origine).
Partendo dalle conclusioni, Marco Fiori, amministratore delegato di Premuda, nel suo intervento ha posto l’accento sul fatto che il mercato dello shipping stia vivendo un momento di evoluzione particolare. “Oggi sta cambiando drammaticamente anche la geografia di dove vengono prodotte le navi, come vengono prodotte e i tempi di produzione” ha detto. “Per dare un’idea sullo stato della cantieristica navale oggi non ci sono slot disponibili per nuove costruzioni con consegna prima del 2028-29. Quindi oggi un armatore fa una scommessa se prende l’impegno di investire nel 2025 su una nave che verrà consegnata nel 2028 e che poi dovrà operare per 20 anni. Questo per dire quale tipo di orizzonti temporali abbiamo di fronte”.
In tutto ciò cambia anche molto la geografia della navalmeccanica mondiale. “I grossi produttori di navi una volta erano i giapponesi e i coreani, poi è entrata la Cina che ora fa la parte del leone” ha proseguito dicendo Fiori. “Soprattutto su certi tipi di costruzione ognuno sta cercando di privilegiare le produzioni a più alto valore aggiunto: per esempio in Giappone è ancora molto forte la parte delle navi portacontenitori, la Cina invece si sta sviluppando per quella che è la parte di produzione un po’ più ‘normale’. Le navi da carico secco sono più facili da costruire, c’è molto più interesse da parte dei cantieri a produrre navi dry bulk, meno le cisterne, un pochino più lunghe da produrre e più complicate; il mercato si sta diversificando. La Cina fa la parte del padrone, seguita da Giappone e Corea”.
Secondo Stefano Messina (Assarmatori), intervenuto durante una sessione dedicata alla finanza, “lo shipping non attrae capitali di rischio, li fa scappare. Basta guardare all’esempio di Venice Shipping & Logistics che 15 anni fa voleva attrarre capitali privati verso il settore navale ma ha fatto fatica. Nuovo capitale di rischio non è arrivato”. Il vertice dell’associazione degli armatori aderente a Confcommercio ha sottolineato che “il capitale di rischio nel navale richiede tantissima pazienza ma può portare a rendimenti anche superiori al settore infrastrutture. Oggi il denaro nello shipping arriva ma solo come debito; la propensione a finanziare il settore è attualmente superiore a quella che si vedeva 4-5 anni fa. Il capitale di rischio però non ti apre la porta, non è attratto dall’investimento navale perché c’è sovraccapacità di stiva, redditività bassa (dopo 2/3 anni di redditività alta) e prezzi degli asset alle stelle”. In Italia, però, il rinnovamento delle flotte, soprattutto dei traghetti impiegati nelle rotte di cabotaggio, è indispensabile secondo Messina: “Ancora un po’, 3-5 anni, con le flotte vecchie possiamo andare avanti utilizzando i carburanti low sulphur ma ci stiamo preoccupando per il futuro e per i nuovi carburanti che arriveranno”.
Fabrizio Vettosi (Vsl Club) nell’occasione ha ricordato il decreto ‘rinnovo flotte’: “Quei 650 milioni di euro stanziati dal Governo non abbiamo potuto utilizzarli per le norme sulla tassonomia. Chiedo perché le navi costruite in Cina, che hanno per l’80% fornitori europei, non si possano considerare navi comunitarie”.
Altre sono invece le preoccupazioni espresse da Vincenzo Romeo (Nova Marine Carriers) che guarda con preoccupazione ad esempio alla concorrenza sleale di armatori cinesi o turchi rispetto a quanto avviene in Europa con riferimento all’Ets. “Chi mi garantisce – ha domandato – che i certificati bianchi vengano acquistati anche dai cinesi e dai turchi quando navigano in acque europee? Una struttura europea come la nostra è un’azienda gestita in maniera trasparente. Chi mi dice che anche il cinese è certificato? Questa è una delle mie preoccupazioni”.
Un’altra criticità affrontata e vissuta direttamente è stata quella relativa a un carico che non avrebbe dovuto essere imbarcato. “Abbiamo caricato del fertilizzante in Romania, siamo arrivati in Nord Europa e la qualità non era quella giusta; poi si è scoperto che il carico aveva origine russa” ha raccontato Romeo. “La cosa ha tenuto la mia nave bloccata tre settimane. Quindi c’è un tema di qualità delle commodity ma anche di certificazione, del controllo della filiera. Il mio comandante non è un chimico e io non sono un avvocato esperto di sanzioni internazionali” ha proseguito il vertice di Nova Marine Carriers. “Se c’è un pezzo di carta che attesta che il fertilizzante è di quella qualità e arriva da quel luogo, io lo carico. Il problema è stato che le autorità olandesi hanno detto che noi dobbiamo farlo analizzare il carico prima di imbarcarlo, quindi ora assumerò un chimico. Il nostro dipartimento legale crescerà, assumeremo almeno un paio di ragazzi esperti nel seguire tutti questi certificati di origine per fare una vera e propria due diligence”.
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