Alis lancia un altro allarme sull’Ets e chiede 200 Mln al Governo per incentivi al trasporto intermodale
Dal prossimo gennaio potrebbe essere applicato un surcharge da parte di tutto il mondo marittimo per coprire questa tassa sul trasporto marittimo
Alis, l’Associazione Logistica per l’Intermodalità Sostenibile, chiede che il Governo possa intervenire con l’aumento della dotazione finanziaria per il Sea Modal Shift e per il Ferrobonus, attraverso uno stanziamento di 100 milioni di euro annui per ciascuna misura di stimolo al trasporto combinato strada-mare e strada-ferrovia.
Secondo l’associazione presieduta da Guido Grimaldi e riunita in assemblea pubblica a Roma, “nel 2022, anno in cui non è stato erogato l’incentivo Marebonus, si è assistito a un incremento del traffico dei camion su rete Anas del 4% rispetto al 2019, come è stato riportato dall’Osservatorio sulle tendenze della mobilità del Mit”.
Per Grimaldi dovrebbero essere previsti “maggiori investimenti in ricerca, sviluppo e formazione, così da evitare di aggiungere e prevedere ulteriori tasse e costi per cittadini e imprese. I dati del centro studi di Alis dicono che nel 2023, grazie al trasporto intermodale, 6 milioni di camion sono stati sottratti dalle strade, 143 milioni di tonnellate di merci sono state spostate dalle autostrade verso l’intermodalità, attraverso i porti e interporti, 5,4 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 sono state abbattute. Un risparmio economico per le famiglie italiane è oltre 7 miliardi di euro”.
L’augurio dell’Associazione logistica dell’intermodalità sostenibile è che la politica contribuisca a sviluppare una “economia sana e competitiva”. Con la tassa sulle emissioni climalteranti (Ets – Emission Trading System) che entrerà in vigore l’1 gennaio 2024 “c’è il rischio che si debba applicare un Ets surcharge da parte di tutto il mondo marittimo per andare a coprire questa tassa che andrà a gravare in modo importante sulle tasche degli armatori, un’ipertassazione” ha sottolineato il presidente di Alis, Guido Grimaldi. Aggiungendo che questo aggravio di costi del trasporto marittimo “potrebbe determinare un rischio di back shift modale, facendo fare all’Italia un balzo indietro di 30 anni, con un ritorno di milioni di camion sulle autostrade italiane e un preoccupante aumento dell’inquinamento e dell’incidentalità”.
Per Emanuele Grimaldi, amministratore delegato di Gruppo Grimaldi e presidente dell’International Chamber of Shipping, “l’Ets non risolve alcun problema. L’Europa fa parte di un consesso mondiale e solo in quell’ambito questi problemi vanno trattati e risolti. C’è l’Imo, la più grande agenzie dell’Onu responsabile del trasporto marittimo, che è la sede giusta. Noi abbiamo detto che entro il 2050 andremo a net zero, e l’Imo ha fatto propria questa indicazione, il vero problema è come arrivare a questo risultato. Oggi non ci sono ancora le tecnologie necessarie a usarli. Abbiamo fatto due grandi riunioni, con l’Associazione dei produttori dei nuovi carburanti, con un italiano a presiederla – Francesco Lacamera – hanno partecipato 35 ministri e più di recente l’associazione dei porti mondiali, perché questa risoluzione di un così grande problema non può essere rimessa ai soli armatori”.
Emanuele Grimaldi ha aggiunto:“L’Ets pone anche un evidente problema alle rotte intercontinentali che punterebbero sugli scali extra-europei per non dover pagare la tassa e minaccerebbe la continuità territoriale con le grandi isole: la Sicilia e Sardegna sarebbero mete paganti, il che creerebbe un problema enorme di continuità. E le autostrade del mare? Sono il sistema più verde e lo si tasserebbe! Quando l’Europa invece ha un peso enorme all’interno dell’Imo per spingere gli altri e trovare soluzioni. Noi come associazione mondiale degli armatori abbiamo presentato una proposta all’Imo che dovrà decidere, una proposta cui crediamo molto: si tratta della Fund and Reward System. Anche noi, noi stessi, diciamo di tassare tutte le navi del mondo, per un totale che secondo la nostra formula genererebbe oltre 10 miliardi di dollari, la metà dei quali potrebbe essere spesa per produrre nuovi carburanti verdi, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo che oggi subiscono i danni del climate senza avere condiviso benefici dell’inquinamento. L’altra metà potrebbe servire a ridurre il gap del costo tra gli attuali carburanti e quelli nuovi. Questa domanda sostenuta servirebbe a produrre su vasta scala e grandi numeri nuovi carburanti determinando un contenimento del prezzo. Ma questo sforzo deve essere esteso a tante altre categorie d’imprese: se nei porti non abbiamo le infrastrutture per distribuire i nuovi carburanti, tutto resta vano. E ricordiamoci che noi utilizziamo 4% di carburanti liquidi, sono le aziende energivore che ne utilizzano molto di più”.
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