Il fritto misto delle norme per aggiudicare le concessioni portuali
Diverse istituzioni competenti oggi adottano con costanza atti tra loro apparentemente sovrapposti in quanto ad ambito di applicazione e contenuto prescrittivo mentre gli investitori avrebbero bisogno di semplificazione
Contributo a cura di avv. Davide Maresca *
* managing partner Maresca & Partners
Si è esaurita recentemente la gara per l’assegnazione del Terminal rinfuse di Venezia che ha seguito quella del Terminal Intermodale Venezia. Questi dossier offrono lo spunto per una riflessione sull’estrema complessità che deriva dalla stratificazione normativa e regolatoria nel settore. Il quadro normativo dal 2018 a oggi si è evoluto alquanto.
Come noto la materia è disciplinata da due fonti normative di rango primario, ossia l’art. 18 della legge 84/94 per l’assegnazione della concessione portuale e l’art. 16 per gli aspetti autorizzativi. Ad essa si affianca il codice della navigazione, art. 36 ss., che disciplina il regime demaniale dei beni oggetto della concessione.
Sulla base di tali norme la procedura prevedeva, in sostanza, la proposizione di un’istanza da parte dell’interessato che veniva pubblicata per consentire a chiunque di presentare una domanda concorrente e una successiva valutazione dell’ente (Autorità portuale) per la scelta della domanda che garantiva il più proficuo interesse pubblico.
Tali formulazioni sono risultate nel tempo non sufficientemente precise rispetto ai parametri di legittimità comunitari in materia di mercato interno (art. 56 tfue ss.) e aiuti di Stato (art. 107 tfue).
È intervenuta così la Delibera dell’Autorità di regolazione dei trasporti n. 57/2017 che, timidamente, introduceva alcuni elementi altrettanto generici sulla neutralità dell’infrastruttura tali, però, da non modificare l’assetto procedimentale vigente.
Il quadro così definito era poi integrato dai regolamenti locali delle autorità di sistema portuali che attuavano le norme primarie con l’indicazione della documentazione obbligatoria da sottoporre in allegato all’istanza di concessione (elaborato grafici, computo metrico, autocertificazioni, piani d’impresa, ecc…).
Si formava così un panorama regolamentare (ma non regolatorio) molto frammentato con requisiti e caratteristiche di dettaglio molto diverse tra porti, seppur nella medesima cornice della legge 84/94 e del codice della navigazione. Per tale ragione, sulla spinta del next generation fund, è stato adottato il regolamento attuativo dell’art. 18 della legge 84/94, ossia il Decreto interministeriale (MIT-MEF) n. 202/2022.
Ci si aspettava un decreto attuativo dell’art. 18 che definisse il procedimento nei suoi aspetti di “disuniformità” lasciati dai regolamenti locali.
Invece, il DM 202/2022 è entrato nel merito delle regole di partecipazione individuando requisiti, criteri di valutazione e sub-procedimenti aggiuntivi che hanno lasciato sostanzialmente inalterato il procedimento previgente e la frammentazione. Infatti i regolamenti delle Autorità di sistema prtuale sono rimasti in vigore e le Adsp stesse hanno avuto un termine per renderli coerenti.
Proprio per la scarsa incisività del DM 202/2022, la Commissione europea ha richiesto l’elaborazione di linee guida di attuazione del citato DM. Ciò ha condotto all’adozione delle tanto criticate linee guida contenute nel DM (MiT-MEF) 110/2023. Queste ultime hanno costituito la vera innovazione in quanto si prevede per la prima volta il tentativo di applicazione delle norme comunitarie in materia di concorrenza: la relativa procedura che ne risulta diventa assai più complessa in ragione di alcuni contenuti obbligatori degli atti di gara e di una griglia di valutazione dei criteri che adotta alcuni parametri evidentemente “mutuati” dal mondo delle concessioni autostradali.
In particolare l’algoritmo di calcolo della redditività porta i terminal a competere anche sulla base della “minor redditività possibile”, privilegiando concessioni con IRR che tende al WACC e VAN che tende a zero (portando ad un modello c.d. “Cost-plus”). Questo tipo di calcolo, che premia chi produce meno, è tipico dei servizi di interesse economico generale perché la domanda di mercato è indipendente dalla volontà del concessionario che, quindi, deve guadagnare il meno possibile dallo sfruttamento di un bene il cui utilizzo da parte degli utenti non è certo merito suo. Cosa ben diversa si verifica nel mondo portuale dove i terminal adottano vere e proprie policies commerciali e dove la domanda di mercato non è affatto vincolata. Il sistema regolamentare, così delineato, ha portato inevitabilmente il mondo portuale ad essere soggetto una regolazione “per via ministeriale” affermando il suddetto modello “cost plus”. Modello che pare peraltro particolarmente non coerente con la costruzione dei costi operativi tipici “regolamentati” tra cui il canone portuale. Quest’ultimo, infatti, secondo l’attuale norma del 1993 ha una base di calcolo di tipo immobiliare con una tabella che individua misure minime vincolanti costituita in “euro al metro quadrato”. Sistema di calcolo “rigido” che introduce un elemento non sempre compatibile con la costruzione di una proposta di partecipazione ad una gara che deve essere basata sul raggiungimento di un IRR pari (o simile) al WACC: il livello del canone “rigido”, unito alla regola del VAN=0, porta a a) fare meno ricavi possibile e, di conseguenza, b) ridurre inevitabilmente gli investimenti in modo da garantire il raggiungimento dei suddetti parametri.
Il ragionamento economico di cui sopra è stato peraltro sancito dalle norme comunitarie esclusivamente per i servizi di interesse economico generale (art. 106 TFUE) dove, appunto, la domanda di mercato è indipendente dal concessionario e si verifica un’asimmetria informativa tra utente e gestore (come nel caso delle autostrade e del trasporto pubblico locale).
Le linee guida, in altre parole, hanno portato una vera e propria fattispecie di regolazione del settore che parrebbe andare oltre la competenza amministrativa propria del Governo (la differenza tra regolazione indipendente e amministrazione non è di poco conto). In applicazione di quanto, sopra i Regolamenti delle Autorità di sistema portuale si configurano ancora con molte diversità e disuniformità nonostante ci siano maglie così strette previste dalle suddette Iinee guida. Diversità che attengono, più che altro, a prassi operative di ciascun porto.
Tuttavia non è certo solamente il Ministero dele Infrastrutture e dei Trasporti ad aver portato contenuti nuovi in campo “istituzionale”. Infatti l’Autorità di regolazione dei Trasporti, ha adottato la recente delibera n. 69 del 2025 che prevede la consultazione sul nuovo modello regolatorio (che modifica la n. 57/2017). In questo contesto il sistema regolatorio previsto dalle Linee guida (Dm 110/2023) appare diverso e non facilmente conciliabile rispetto ai criteri previsti dal documento di consultazione di Art che, invece, pare andare oltre la tradizionale nozione di regolazione indipendente “sovrascrivendo” di fatto l’algoritmo di calcolo della redditività ed introducendo fattispecie di “amministrazione del mercato” di tipo generale (ad esempio sui rapporti tra autorizzati e concessionari e tra concessionari e armatori) che hanno il sapore di “norme generali ed astratte” più che di regolazione tecnico-economica di fattispecie complesse.
Il risultato è oggi un “fritto misto” in cui le istituzioni competenti (Ministero, Art, Adsp) adottano con costanza atti tra loro apparentemente sovrapposti in quanto ad ambito di applicazione e contenuto prescrittivo. Non si può nascondere che per gli investitori è assai difficile intervenire in questo quadro di complessità e sovrapposizione normativa che avrebbe tanto bisogno di semplificazione.
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