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Armatori italiani alle prese con le incognite del 2020

La marina mercantile italiana, dopo anni di difficoltà segnate da fallimenti, cessioni e ristrutturazioni finanziarie, da quest’anno sta cercando di riprendere la rotta dello sviluppo e dei nuovi investimenti. Le statistiche dell’ultimo decennio descrivono un quadro dell’armamento nazionale privato in costante indebolimento, fatta eccezione per alcune nicchie di mercato, in particolare crociere e navi ro-ro, […]

di Nicola Capuzzo
1 Gennaio 2020
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Mario Mattioli (Confitarma) e Stefano Messina (Assarmatori)

La marina mercantile italiana, dopo anni di difficoltà segnate da fallimenti, cessioni e ristrutturazioni finanziarie, da quest’anno sta cercando di riprendere la rotta dello sviluppo e dei nuovi investimenti. Le statistiche dell’ultimo decennio descrivono un quadro dell’armamento nazionale privato in costante indebolimento, fatta eccezione per alcune nicchie di mercato, in particolare crociere e navi ro-ro, dove gruppi come Costa Crociere e Grimaldi Group navigano col vento in poppa.

I numeri di Confitarma dicono che a fine 2018 le navi mercantili battenti bandiera italiana erano scese numericamente del 2,9% (42 in meno) rispetto a dodici mesi prima attestandosi a 1.405 unità, mentre in termini di tonnellate di stazza lorda il decremento è stato del 5,1%. Erano calate numericamente del 5,7% le navi da carico liquido che al 31 dicembre scorso erano 233 (da 247 un anno prima) e, più nel dettaglio, sono diminuite del 10% le petroliere, del 13% la gasiere e del 3% le chimichiere. Idem dicasi per le navi da carico secco (-5,6% in termini numerici fra 2017 e 2018) con le portarinfuse che fanno segnare il calo più accentuato (-19%), seguite dalle portacontenitori (-7%) e dalle general cargo (-7%). È rimasto invece stabile il numero di navi da crociera battenti il tricolore (27 unità in particolare di Costa Crociere e di Aida Cruises) anche se è aumentato del 6% la stazza lorda complessiva di queste unità, mentre sono calati gli aliscafi e le altre navi passeggeri di corto raggio (-3%) così come i traghetti (-2%). Nel corso del 2018 erano entrate a far parte della flotta italiana 15 unità, pari a 374.116 tonnellate di stazza lorda. «Nonostante la consistente riduzione degli investimenti registratasi negli ultimi anni, in totale nel triennio dal 2015 al 2018 gli armatori italiani hanno ordinato ai cantieri nazionali ed esteri 145 unità per un valore di circa 20 miliardi di dollari» ha rilevato Confitarma.

Per effetto dell’entrata in vigore dal prossimo 1 gennaio della normativa Imo sulphur cap che imporrà un limite dello 0,5% di zolfo alle emissioni delle navi in tutto il mondo, molti armatori guardano con apprensione al futuro perché molto sono ancora le incertezze su quanto in concreto aumenteranno i costi e se i vettori marittimi riusciranno a ribaltare integralmente sui clienti questi extra-costi. “Per l’industria del trasporto marittimo si tratterà di un aggravio di costi da circa 47 miliardi di dollari che non tutte le società armatoriali, soprattutto quelle più piccole, riusciranno a ribaltare sui clienti. Ci aspettiamo anche che possano emergere problemi sulle linee di credito che i trader di carburante concedono ai propri clienti, perché dovendo spendere di più per il bunker la pressione finanziaria sulle casse delle società inevitabilmente aumenterà” ha spiegato Timothy Cosulich, vertice del gruppo Fratelli Cosulich. Secondo lui questo contribuirà nel prossimo futuro “un ulteriore consolidamento del mercato dello shipping”.

Della stessa idea anche Marco Fiori, amministratore delegato di Premuda, che ha affermato: “Il consolidamento è la medicina che serve a questo settore”. Inoltre ha aggiunto: “Il consolidamento del mercato piace a tutti ma a nessuno piace essere consolidato”.

Sul delicato tema del nuovo limite alle emissioni, per il cui rispetto le navi devono scegliere fra installare depuratori di fumo (scrubber), consumare carburante a basso tenore di zolfo oppure gas naturale liquefatto, Cesare d’Amico, amministratore delegato della d’Amico Società di Navigazione, ha le idee chiare: “Sarebbe stato meglio se dal 1 gennaio 2020 tutti avessero deciso di utilizzare il marine gasoil per le proprie navi. Invece gli armatori saranno la parte debole sul mercato e ne usciranno male” (rispetto agli altri player di mercato). La stragrande maggioranza delle navi non ha installato i depuratori di fumi ne ha optato per il Gnl (scelta seguita invece da alcune navi da crociera) e molti ricorreranno dunque al bunker a basso tenore di zolfo.

Chi trarrà enormi profitti da questa situazione saranno le raffinerie secondo Emanuele Grimaldi, amministratore delegato di Grimaldi Group, che recentemente ha detto: “Nel porto di Rotterdam il bunker Hfo costa attualmente 250 dollari a tonnellata e le previsioni sono che da gennaio salirà a 500 dollari. Un incremento del prezzo del 100% non giustificato dai prezzi di produzione, si tratta di pura speculazione. Le raffinerie nei prossimi anni faranno un sacco di soldi”. Il suo gruppo ha scelto infatti di installare i depuratori di fumi su oltre 100 delle 130 navi in flotta così da poter continuare ad acquistare e consumare il bunker ad alto tenore di zolfo il cui prezzo dovrebbe rimanere su livelli più bassi. Stessa scelta è stata fatta anche dai cugini genovesi di Grimaldi Holding che sui propri traghetti stanno installando in queste settimane i depuratori di fumi e lo stesso avviene per altre navi passeggeri di Adria Ferries e Fratelli Onorato Armatori.

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