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I quattro “elementi condizionanti” che possono far saltare il concordato di Cin Tirrenia

I giudici del tribunale di Milano sottolineano che senza il verificarsi di quattro condizioni la strada sarà il fallimento o l’amministrazione straordinaria. Particolarmente critici anche i commissari giudiziali

di Nicola Capuzzo
19 Febbraio 2022
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Tirrenia

Le sorti future di Compagnia Italiana di Navigazione, la società controllata dal Gruppo Moby che nel 2012 ha rilevato dallo Stato l’ex compagnia di navigazione pubblica Tirrenia, sono appese a quattro “elementi condizionanti” che il Tribunale di Milano ha dettagliatamente specificato e per i quali ha imposto tempistiche ben precise.

L’epilogo di questo lungo salvataggio che si protrae da luglio 2020 sarà o il fallimento (come è stato chiesto dal Pubblico Ministero), o il concordato preventivo in continuità (come chiesto da Moby) se il piano concordatario riceverà il voto favorevole della maggioranza dei creditori, o ancora l’amministrazione straordinaria.

Il decreto del tribunale di Milano datato 10 febbraio riassume quanto è stato deciso in occasione dell’ultima udienza del 20 gennaio scorso conclusasi, come noto, con il differimento dell’adunanza dei creditori al 27 giugno 2020.

Nel decreto, che SHIPPING ITALY ha potuto visionare e che è firmato dal giudice Vincenza Agnese e dalla presidente Alida Paluchowski, è scritto che, “contrariamente a quanto ipotizzato dal Pubblico Ministero, gli elementi condizionanti in modo esiziale la validità e realizzabilità dello strumento proposto sono decisamente superiori al solo assenso di Tirrenia (in amministrazione straordinaria, ndr) al concordato”. Come noto, infatti, ha un’importanza particolare ai fini del successo o meno della proposta di concordato presentata da Cin il voto della bad company Tirrenia in Amministrazione Straordinaria creditrice per circa 180 milioni di euro (il corrispettivo delle tre rate non pagate per l’acquisto dell’ex compagnia di navigazione pubblica da parte di Moby).

Nel decreto è specificato quali sono (fra le altre) le “condizioni di primaria importanza”.

La prima è “il ‘term sheet’ prodotto in atti” che, “oltre a non possedere alcuna intrinseca definitività, è condizionato alla rinuncia alle azioni intraprese da Tirrenia e così lo è (tra l’altro) la possibilità di realizzo dell’intera operazione e il suo finanziamento”. I tre commissari straordinari di Tirrenia in A.S., con una comunicazione datata 19 gennaio (il giorno prima dell’ultima udienza), hanno affermato quanto segue rivolgendosi a Moby: “Altro tema imprescindibile per la Procedura è, poi, quello della Vostra richiesta alla rinuncia a tutti i giudizi pendenti tra le parti, e, soprattutto, a quelli promossi nei confronti dei terzi responsabili, quali gli amministratori e la capogruppo. Richiesta che non può essere accettata e che non trova ragione giuridica che la possa giustificare”. A questo propositi i giudici prendono dunque atto che, “indipendentemente dall’adesione al patto paraconcordatario o dal voto favorevole, non vi è alcuna volontà di rinuncia alle azioni giudiziarie da parte di Tirrenia né -in alcun modo- tale rinuncia può costituire mero effetto dell’espressione di voto favorevole”.

La seconda condizione evidenziata dal tribunale riguarda “la cancellazione delle ipoteche attualmente iscritte sulle navi della flotta a garanzia delle banche e dei bondholders” che, secondo i giudici, “presuppone la giuridica possibilità che la categoria di quest’ultimi possa rinunciare alle garanzie secondo le legislazioni applicabili e necessita, ad avviso del Collegio, della adozione di una valida ed espressa delibera in tal senso. Sul punto però, […] vi è ancora completa incertezza e indeterminazione”.

La terza condizione concerne “l’esito dei fondamentali interpelli e comunque delle interlocuzioni con l’Agenzia delle Entrate per l’individuazione del trattamento fiscale relativo al trasferimento delle navi al Fondo” che “non risulta fornito e non vi è prova nemmeno che gli stessi siano stati seriamente avviati”. Il riferimento è al fondo al quale verrebbe conferita la flotta destinata in parte poi alla vendita.

Infine, ed è il quarto elemento condizionante, ai giudici “non risulta che sia stato acquisito il consenso degli istituti di leasing proprietari delle motonavi già condotte o che verranno condotte in leasing dalla Fratelli Onorato s.r.l. (di cui Moby S.p.a. ha il controllo totalitario), al compimento della operazione nonché all’accensione di garanzie né il consenso da parte dei medesimi istituti di leasing al fine di ‘assicurare che i contratti medesimi permangano, inalterati, in caso di eventuale escussione delle garanzie’ ”. La società finanziaria in questione sarebbe Icbc Leasing, vale a dire quella società attraverso la quale la società Fratelli Onorato Armatori prenderà in consegna e opererà in noleggio a lungo termine i nuovi traghetti Moby Fantasy e Moby Legacy attualmente in costruzione presso il cantiere Guangzhou Shipyard International (Gsi) in Cina e previsti in consegna nel 2022 e nel 2023.

Nelle conclusioni il decreto sembra dare una sorta di ultimatum, anche se gli stessi giudici rilevano che la procedura – anche a causa delle proroghe accordate per effetto della normativa emergenziale in materia di Covid – si protrae dal luglio del 2020 sotto l’ “ombrello protettivo” che impedisce le iniziative dei creditori. Si legge infatti: “Visti anche i rilievi dei Commissari Giudiziali depositati il 31.1.2022, si constata che, in assenza di risposte esplicitamente formalizzate in quattro autonomi documenti provenienti dai soggetti coinvolti rispetto agli interrogativi esatti sopra indicati, e pertanto provenienti da: 1) Tirrenia in A.S., 2) bondholders, 3) Agenzia delle Entrate e 4) società di leasing, la modifica alla proposta ha un tasso di indeterminatezza tale che rende impossibile la redazione di una relazione ex art. 172 l.f. idonea a consentire ai creditori l’esercizio consapevole del voto e legittima già il ricorso ex art. 173 ultimo comma l.f. da parte dei Commissari Giudiziali prodromico all’accesso ad altra procedura”. Tradotto: se le quattro condizioni non dovessero verificarsi i commissari giudiziali non potranno redigere l’inventario del patrimonio e la relazione sulle cause del dissesto, sulla condotta del debitore, sulle proposte di concordato e sulle garanzie offerte ai creditori da produrre quarantacinque giorni prima dell’adunanza dei creditori. L’altra procedura alternativa al concordato a cui i giudici fanno riferimento sarebbe invece l’amministrazione straordinaria.

A loro volta i Commissari giudiziali di Cin (Maddalena Dal Moro, Marco Angelo Russo e Giorgio Zanetti), dopo l’ultima udienza del 20 gennaio in un parere deposito hanno espresso “preoccupanti rilievi […] sul piano in continuità e sul generale andamento economico-finanziario della società”.

Per tutte queste ragioni il tribunale ha disposto il differimento della “eventuale adunanza” dei creditori a fine giugno e ha precisato che “anche le operazioni di voto” devono “svolgersi prima della feria estiva”. Cin avrà tempo invece fino al 31 marzo per depositare la documentazione richiesta a integrazione dell’ultima versione del piano presentato il 20 gennaio mentre ai commissari giudiziali è stato posto il termine del 12 maggio per depositare la propria relazione ex art. 172 l.f..

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