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La transizione energetica innesca una transizione portuale: infrastrutture da riconvertire

Il tema è stato sollevato da Baccelli (Ptsclas) ai convegni di LetExpo e Zeno D’Agostino ha risposto con alcune idee suggestive sul futuro utilizzo dell’oleodotto Transalpino

di Redazione SHIPPING ITALY
20 Marzo 2022
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Verona – “La transizione energetica e la sostenibilità devono accompagnare il tema della pianificazione portuale attraverso una visione sistemica”. O  più semplicemente: cosa ne sarà delle banchine e delle infrastrutture portuali che oggi sono destinate a imbarco e sbarco di commodity ma fra qualche anno risulteranno superate?

E’ questo l’interessante interrogativo posto da Oliviero Baccelli, senior advisor Ptsclas, cdurante il proprio imtervento all’interno della tavola rotonda andato in scena alla fiera Let Expo e dedicato alla competività dei porti. “Il tema va declinato in diversi modi, credo sia di grande rilevanza per l’intero sistema portuale italiano e che sia necessaria un’organizzazione complessiva. Si vincono queste sfide se c’è una visione unitaria” ha sottolineato il docente universitario della Bocconi. “Alcuni aspetti del tema sono sottovalutati, come quello dei flussi, perché alcuni oleodotti ridurranno gradualmente i propri flussi. Quindi ci deve essere attenzione dedicata a questo tema. Serve anche una visione complessiva di cosa si farà dei pontili, dei carbonili e dei depositi costieri che non saranno più utilizzati. Le dismissioni avverranno e non sempre saranno facili da gestire”.

Un caso recente è stato quello di Vado Ligure dove la nuova piattaforma multipurpose avrebbe dovuto ospitare anche attività di imbarco e sbarco di carbone ma la chiusura nel frattempo della vicina centrale elettrica ha di fatto eliminato la necessità di quella banchina dedicata alle rinfuse. Ma altrove non sarà così semplice da risolvere, “in altri contesti sarà difficile da gestire” secondo Baccelli. Che ha detto: “Bisogna tener conto della pianificazione per convertire queste aree al meglio e mantenerle per fini portuali, come traffici ro-ro, crociere, ecc. Bisogna poi evitare la duplicazione di progetti e avere una visione sistemica, elemento fin qui sottovalutato ma che deve essere preso in considerazione in maniera rilevante. In accompagnamento ci devono essere le esigenze del settore marittimo. Ci sarà una serie continua di progetti pilota e affinamenti che dovranno essere seguiti con attenzione. La strada, quindi, non è segnata in modo chiaro. Non sottovalutiamo tutti gli aspetti: la pianificazione delle aree portuale, l’accompagnamento alle compagnie marittime per evitare sovrainvestimenti che rischiano di non essere valorizzazabili”.

Sul tema, all’intrno della stessa tavola rotonda, è intrvenuto anche Zeno D’Agostino, vicepresidente di Espo e vertice dell’Adsp del Mar Adriatico Orientale: “A proposito di transizione energetica devo dire che il termine transizione non mi piace, preferisco parlare di rivoluzione: con la transizione modifichi l’approvvigionamento energetico di un sistema che rimane uguale, cambi solo la fonte d’energia. Prima c’era il diesel, poi ci sarà l’idrogeno, ma l’organizzazione del sistema non cambia. Ma il tema vero è che devi rivoluzionare quello che stai facendo: stiamo cercando di cambiare la strategia portuale. La capacità dev’essere quella di utilizzare infrastrutture esistenti magari obsolete ma andando anche fuori dai confini tradizionali”.

D’Agostino ha preso ad esempio l’oleodotto che collega lo scalo giuliano con le raffinerie del Centro ed Est Europa. “La pipeline che parte dal porto di Trieste per andare in Austria, Germania, Repubblica Ceca è un tubo di un metro di diametro che trasporta petrolio greggio; ma l’infrastruttura è larga 30 metri. Immaginate cosa può ospitare un tunnel costruito nel ‘67 che aveva come obiettivo il trasporto di greggio che oggi, con quel che succederà, potrebbe ospitare dall’hyperloop alle autostrade digitali o un tubo per l’idrogeno. La vera capacità dev’essere questa, non la transizione ma la riconversione totale di tutto quello che è il mestiere del porto. Io posso farlo a Trieste e Monfalcone, a questo punto puoi cambiare mestiere, entrare in settori molto più redditizi, diventare hub tecnologico, energetico; si può anche sfruttare la parte del porto che si vede meno, che è quella sott’acqua. Noi di solito guardiamo solo quel che è emerso, ma a Trieste abbiamo un accordo con Saipem che a 13 metri sotto il mare testa i suoi droni che poi vanno in profondità a fare manutenzione. Dobbiamo guardare anche alla parte sommersa di quelle infrastrutture importantissime, fuori da una logica esclusivamente trasportistica, ci vuole un po’ più di fantasia”.

Il collega Mario Sommariva, presidente dell’Adsp del Mar Ligure Orientale, toccando il tema degli approvvigionamenti di gas attesi via nave, ha spiegato che il terminal di Snam a Panigaglia “ha limiti strutturali importanti, può offrire un contribuito alla crisi del gas, ma può ricevere soltanto cinque di tutte le navi gasiere mondiali per limiti di lunghezza. E queste cinque sono impegnate nel traffico con l’Algeria. Ci sono interventi previsti per allungare l’impianto e il pontile per avere una disponibilità maggiore e ampliare i depositi, ma è difficile pensare di colmare la crisi dei gasdotti con i rigassificatori, perché le quantità sono incomparabili”.

N.C.

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