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La riforma del Registro Internazionale e il fantasma dell’estensione a terra dei benefici fiscali

Assiterminal, Filt Cgil e Uiltrasporti attaccano un articolo della bozza di modifica normativa sostenendo che introduca un beneficio che esiste già da 24 anni

di Andrea Moizo
2 Maggio 2022
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bandiera ita

A un mese dalla diffusione di quella che doveva essere la bozza definitiva, il decreto legge cosiddetto Mims (o Infrastrutture bis o Giubileo), contenente fra l’altro la riforma del Registro Internazionale italiano richiesta anni fa dalla Commissione Europea, si è incagliato sulla soglia del Consiglio dei Ministri, dove non è ancora approdato.

Una delle principali ragioni atterrebbe il nuovo articolo 6-quinquies del DL 457/1997 (la legge istitutiva del Registro Internazionale). L’intervento, come anticipato da SHIPPING ITALY, corregge una stortura dell’impianto normativo vigente secondo Bruxelles, circoscrivendo la fruibilità di uno dei benefici fiscali previsti. Nello specifico, a normativa vigente, il reddito ricavato da “attività diverse da quelle principali derivanti da attività di trasporto marittimo” è totalmente accorpabile a quello derivante dall’attività di trasporto marittimo propriamente dette.

Quando cioè un armatore che abbia una nave iscritta ne Registro Internazionale vende un servizio door to door svolto, per la parte marittima, con la nave in questione, fattura un unico importo (comprensivo di trasporto marittimo ma anche di quello terrestre e magari delle operazioni di banchina) che sarà così beneficiato per intero da quanto previsto dal comma 2 dell’articolo 4 (solo il 20% contribuirà a formare l’imponibile). Analogamente una compagnia di crociera che coi suoi biglietti venda escursioni o altri servizi dovrà sottoporre a tassazione solo il 20% di quegli introiti purché naturalmente legati a una nave iscritta al Registro. Se la riforma passasse, invece, tali benefici saranno condizionati al fatto che i “ricavi di competenza non superino il 50 per cento dei ricavi totali ammissibili derivanti dalla utilizzazione della nave”.

Questa modifica – che quindi, in sintesi, riduce la fruibilità di un beneficio già previsto oggi per chiunque abbia una nave iscritta nel Registro Internazionale italiano – è stato però interpretato in senso contrario nei giorni scorsi da Assiterminal, Filt Cgil e Uiltrasporti. Per l’inedito asse imprenditorial-sindacale, infatti, la norma rappresenterebbe, usando l’espressione della Filt, “un vero e proprio assist per tutti quegli armatori che hanno anche attività di logistica a terra”.

Nel mirino ci sarebbe in particolare il gruppo Msc che, secondo il fronte d’opposizione, potrà d’ora innanzi beneficiare della tassazione agevolata anche per le attività terrestri dei suoi terminal e delle società che come Medlog e Medway si occupano di trasporto terrestre. Addirittura, secondo alcune fonti di stampa che hanno sposato tale lettura, anche la compagnia aerea Ita Spa (in predicato di acquisizione da parte di Msc) in futuro potrà fruire del benefit.

In realtà però la riforma non ha nessun peso sul punto.

Già oggi Msc, come qualunque altro “player del trasporto marittimo internazionale”, potrebbe infatti avere la tassazione agevolata anche per le operazioni a terra semplicemente portando le navi sotto bandiera italiana e iscrivendole in Registro Internazionale. Domani, al limite, l’operazione sarà più complessa e meno attrattiva: vero che la bandiera non dovrà essere per forza italiana, bensì ‘solo’ europea (Msc usa soprattutto quella panamense per il cargo), ma il soggetto interessato dovrà avere una stabile organizzazione in Italia e utilizzare quella e solo quella per la produzione dei redditi da defiscalizzare (nonché intestare a essa la gestione della flotta interessata, navale e aerea…). E comunque, da domani, solo metà del reddito ‘terrestre’ fruirebbe del beneficio.

Insomma, può anche darsi che Msc Crociere, quando il Registro Internazionale diverrà accessibile anche con bandiera maltese (usata in luogo della panamense per le unità nate dopo il 2017), possa decidere di iscrivervi qualche nave e poi di passarla alla gestione di una società italiana trasferendo centinaia di dipendenti dall’estero. Ma, detto che la cosa è possibile oggi senza alcuna riforma usando bandiera italiana invece che maltese, lo scenario prospettato è ancor più irrealistico nel cargo, dove nessun liner in 24 anni ha mai pensato di implementare un’operazione già facilmente attuabile.

Una polemica sul nulla, apparentemente quindi, che ha evidentemente spaventato qualcuno nel Governo fermando un decreto legge e acceso gli animi. Prima Luca Becce, presidente di Assiterminal, ha lanciato un allarme sui social network. E – dopo la glossa critica del vicepresidente Conftrasporto ed ex presidente di Federagenti Gian Enzo Duci: “Il beneficio è, da quasi un quarto di secolo, a disposizione di chi voglia integrare verticalmente la catena. Il DL infrastrutture, su input di Bruxelles, si limita a modificare le condizioni (estensione alle bandiere UE se gli armatori hanno stabile organizzazione in Italia), ma riduce, sottolineo riduce, l’ambito di applicazione a terra” – lo stesso Becce ha precisato, spiegando che la preoccupazione deriva dal contesto mutato rispetto al 1997 e caratterizzato dai fenomeni di concentrazione e integrazione verticale innescati dai più grandi armatori del mondo, che “occorrerebbe una discussione” perché il decreto di riforma è “decontestualizzato” e rappresenta “una nuova forzatura nel settore”.

Detto degli interventi di Filt Cgil e Uiltrasporti – ancora convinte che il beneficio in questione sia una novità: “Il voler concedere i benefici anche al reddito determinato da attività diverse da quelle marittime significa mettere a rischio la concorrenza nel settore della logistica” – in senso opposta è infine intervenuta Assarmatori col presidente Stefano Messina: “Questa impostazione è fuorviante e fa pensare che siano intervenuti su queste tematiche legate all’armamento e alla portualità non in possesso delle necessarie e corrette informazioni e quindi senza alcun approfondimento tecnico e altresì con una buona dose di retorica. Questo regime è in vigore da 24 anni e la novità in questione è invece figlia di una Decisione della Commissione Europea datata 11 giugno 2020, che ha imposto all’Italia di applicare questa misura entro gennaio 2021: il rischio, quindi, più che una ‘reprimenda’ al nostro Paese per l’adozione di tale normativa, sarebbe semmai quello dell’apertura di una procedura di infrazione per non averlo ancora fatto a distanza di 15 mesi dallo spirare del termine”.

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