Allarme Assoporti: “Italia di nuovo a rischio infrazione sulle tasse delle Adsp”
L’associazione chiede un emendamento ad hoc al Dl infrastrutture. Tutte le associazioni schierate contro Art e per lo sblocco del fondo di prepensionamento dei portuali, nessuna per il salva-Spinelli
A cinque anni dall’iniziativa della Commissione Europea e a un anno e mezzo dalla sentenza del Tribunale dell’Unione Europea sul contenzioso che ne seguì, il tema della tassazione dei redditi delle Autorità di sistema portuale torna a far parlare i porti italiani.
Nel 2020 Bruxelles avviò una procedura contro l’Italia perché non assoggettava a Ires le entrate delle Autorità portuali. Il tentativo italiano di opporsi (disordinatamente: lo fecero le Adsp ma non il Governo) fallì e il legislatore corse ai ripari, provando ad anticipare la Corte con una modifica alla legge portuale che prevede l’assoggettamento dei canoni concessori ma non delle tasse portuali. L’azione inizialmente funzionò, tanto da indurre i giudici a una sentenza contraddittoria, in cui, respingendone il ricorso, si affermava però che l’Italia aveva dato esecuzione a quanto chiesto dalla Commissione.
La quale, però, ora, nella nuova composizione, potrebbe accorgersi del ‘trucchetto’ e tornare a batter cassa, con “l’avvio di una procedura di infrazione per l’inottemperanza alla sentenza del 2023”. Questo è quanto ha prospettato ai deputati della Commissione trasporti il segretario generale di Assoporti, Olivieri Giannotti, in occasione delle audizioni legate alla conversione del recente Decreto infrastrutture: “Per questo fra le proposte emendative proporremo un intervento sulla legge 84/94, mirato a evitare la tassazione delle tasse portuali, evidenziando come la competenza sulla loro imposizione sia solo statale, senza alcun apporto delle Adsp”.
Altro argomento estraneo al testo originale del Decreto infrastrutture, ma sentito per tutti gli auditi è stata la recente delibera dell’Autorità di regolazione dei trasporti in materia di concessioni: “Si rischia un cortocircuito, serve chiarezza sul ruolo di Art, che secondo la legge dovrebbe ‘garantire’ e non regolare” ha detto lo stesso Giannotti. Concetto con varie sfumature ribadito anche da Alessandro Ferrari (Assiterminal), Gaudenzio Parenti (Ancip) e Francesco Beltrano (Uniport).
Fra gli articoli effettivamente entrati nel Dl ma bisognosi di revisione, particolare attenzione è stata concentrata su quello in materia di canoni portuali. Dopo la sentenza del Tar che ha annullato i ricalcoli dei canoni per gli anni 2023 e 2024 (onerosi e quindi contestati dai terminalisti) perché il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti aveva, secondo i giudici, illegittimamente sostituito uno dei due indici previsto dalla legge e non più calcolato da Istat con quello “dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali”, il Governo è intervenuto inserendo nella legge l’indice usato dal Mit.
Il dubbio, espresso da tutti gli auditi, è sulla retroattività della previsione, da cui dipende la risoluzione delle molteplici situazioni in sospeso (alcune Adsp avevano chiesto il pagamento, altre lo avevano sospeso, la sentenza del Tar ha innescato delle azioni di ripetizione, etc.) e per la quale si chiede quindi un chiarimento, “possibilmente – secondo Ferrari – non rimettendo semplicemente indietro di tre anni la lancetta (confermando cioè gli incrementi come sembrerebbe volere il governo, nda), ma cercando una qualche forma di equilibrio” oppure “prevedendo – ha caldeggiato Belgrano – l’uso del solo indice dei prezzi al consumo e non la media”.
Richiesta di ritocchi anche per gli interventi su tempi di carico-scarico dei camion (Assarmatori e Uniport auspicano un dietrofront sull’indennizzo forfettario introdotto dal decreto in caso di mancato rispetto) e ‘targhe prova’ (per Ancip e Uniport la misura del decreto è condivisibile ma da strutturare perché al momento provvisoria).
Fra gli articoli presenti nelle prime bozze e poi espunti, di grande interesse per gli auditi, che ne hanno chiesto il ripristino (in particolare Assiterminal, Ancip e Uniport), quello che avrebbe sbloccato l’attivazione del fondo di prepensionamento dei lavoratori portuali (l’articolo saltò perché, come formulato, avrebbe escluso quelli delle Adsp, pur soggetti allo stesso Ccnl dei beneficiati), mentre nessuna delle associazioni ha chiesto la reintroduzione e neppure menzionato il provvedimento relativo all’applicazione interpretativa dei Piani Regolatori Portuali (chiamato da alcuni ‘salva-Spinelli’), a dispetto del fatto che per il Mit si sarebbe trattato di una norma di interesse collettivo.
Sul fronte armatoriale, Assarmatori (rappresentata dal vicesegretario generale Giovanni Consoli) ha auspicato che la conversione possa essere occasione per introdurre quelle “norme di semplificazione della bandiera già discusse e concordate con tutte le amministrazioni e per giunta a costo zero, riguardanti l’arruolamento dei marittimi, il registro amministrativo delle navi, la digitalizzazione, l’armonizzazione delle visite ispettive”. Anche Confitarma (rappresentata dal segretario generale Luca Sisto) ha caldeggiato nuove norme: “Più che puntellare Ram (il Decreto stanzia alla bisogna 4,2 milioni di euro) si potrebbe pensare di rafforzare, come avviene in paesi che ci hanno copiato come la Spagna, la misura che questa società gestisce, portando dagli attuali circa 20 milioni di euro annui a 100 il contributo per il Sea Modal Shift (l’ex Marebonus)”.
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