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Ammorbidita la contrarietà dell’Adsp di Civitavecchia sul terminal crociere di Royal Caribbean a Fiumicino

Diversamente da Musolino, Latrofa promuove amministrativamente l’iniziativa. Durissimo invece il Comune: “Precedente istituzionale gravissimo, legittimate logiche speculative di pianificazione in concorrenza col pubblico”

di REDAZIONE SHIPPING ITALY
14 Novembre 2025
Stampa
Fiumicino waterfront

Sul primo tema scottante finitogli fra le mani, Raffaele Latrofa, neopresidente dell’Autorità di sistema portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta, ha scelto di marcare le distanze dalla gestione del predecessore Pino Musolino.

Se quest’ultimo, a proposito del realizzando terminal di Royal Caribbean a Fiumicino fuori da giurisdizione Adsp, aveva parlato di “progetto fuorilegge”, con riferimento allo iato fra l’iniziativa privata e l’assetto normativo italiano che riserverebbe all’amministrazione pubblica un’azione pianificatoria di così ampio respiro (e potenzialmente concorrente a quella portata avanti proprio dall’Adsp), Latrofa, interrogato dopo il via libera arrivato dal Mase, s’è mostrato assai più cauto.

In un’intervista a Civonline, Latrofa, ex vicesindaco di Pisa in quota centrodestra appena scelto dal vicepremier Matteo Salvini, ha del tutto evitato il tema ‘normativo’, cautela forse legata anche al processo di riforma della legge portuale in corso nonché alla vicinanza politica col Comune di Fiumicino (formale titolare dell’iter autorizzativo dell’opera).

E ha derubricato quello della concorrenza con i terminal pubblici (ancorché gestiti da concessionari privati) di Civitavecchia e Fiumicino stessa: “Non possiamo limitarci a immaginarlo in contrapposizione a Civitavecchia. La sfida è attrarre nuovi traffici, far sì che sia un’opportunità aggiuntive per l’intero sistema portuale del Lazio”. L’unica perplessità è di natura tecnica, anche se, trattandosi di struttura privata, irrilevante per l’Adsp: “Saranno necessari non solo dragaggi molto importanti nella fase iniziale, ma anche dragaggi continuativi nel tempo. Questo significa costi di gestione elevati, non solo per realizzare l’infrastruttura, ma anche per garantirne la funzionalità negli anni”.

Decisamente d’altro tenore il punto di vista del Comune di Civitavecchia (che a differenza di Fiumicino è appannaggio della minoranza di centrosinistra). Da una parte le preoccupazioni di natura progettuale: “L’opera – si legge in una nota del municipio – insiste su un tratto di costa estremamente fragile, con effetti potenzialmente dirompenti sugli equilibri della foce del Tevere, sulle correnti, sull’erosione costiera e sulla tenuta complessiva dell’ecosistema. Preoccupazioni documentate e puntuali, che avrebbero richiesto un supplemento di cautela, non un’accelerazione procedurale”.

Ma il tema ambientale è solo una parte del problema: “L’autorizzazione di un grande porto privato costituisce un precedente istituzionale gravissimo: significa legittimare un modello in cui soggetti privati possono progettare infrastrutture di rilevanza nazionale in concorrenza diretta con quelle pubbliche, alterando gli equilibri che la legge e la pianificazione hanno costruito in decenni. Significa ammettere che logiche speculative possano prevalere sulle strategie di sviluppo coordinate del sistema portuale italiano. Significa, in sostanza, aprire la strada a una frammentazione che mette a rischio l’interesse generale e il ruolo delle Autorità di Sistema Portuale, cardine del modello pubblico definito dalla legge 84/94. Non si tratta di un normale confronto competitivo tra territori: si tratta della scelta deliberata di creare una struttura privata a pochi chilometri dal principale scalo crocieristico pubblico del Paese, compromettendo investimenti, programmazione e prospettive di sviluppo portuale che da sempre rappresentano una risorsa strategica per Civitavecchia e per il Lazio”.

La nota si conclude con l’annuncio dell’assunzione di “ogni iniziativa istituzionale, politica e giuridica necessaria a tutelare il porto pubblico, il territorio e il principio fondamentale secondo cui le infrastrutture strategiche devono rimanere in mano pubblica e orientate al bene comune”.

A.M.

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