Filippo Aragone, lo shipping e i 184 Paesi visitati nel mondo
Manager, consulente e viaggiatore instancabile, racconta la sua passione per i viaggi nata da un tappo trovato per terra

Filippo Aragone è un uomo che ha sempre avuto lo sguardo rivolto lontano, ma senza mai staccarsi davvero da Genova. Nato nel 1971 e cresciuto a Carignano, con il porto sotto casa, ha iniziato presto a interessarsi ai flussi commerciali e alla geografia. Dopo una laurea lampo in Economia e un master in amministrazione aziendale, ha costruito una carriera che lo ha portato a Milano, negli Stati Uniti, e in vari settori: shipping, farmaceutico, biomedicale e impiantistica. Oggi è direttore generale del Gruppo Selt, ma è anche un viaggiatore instancabile — 184 Paesi visitati — e un consulente per le Pmi con la sua società FarSoFar. In questa intervista racconta come ha coniugato una vita professionale intensa con l’amore per la famiglia, per Genova e per la sua terra d’origine, la Val Borbera.
Filippo Aragone, qual è stato il suo percorso nel mondo dello shipping?
“Dopo la laurea in Economia Aziendale, conseguita a 23 anni, ho frequentato con profitto un Master in materie di amministrazione di impresa e bilancio: il mio primo impiego in Cosco ha confermato che questa era una strada a me gradita. Dopo esperienze tra Genova e Milano in Erg e in Bracco, ho consolidato in seguito la mia posizione di direttore finanziario in PMI: sono quindi approdato in Oocl, la cui subsidiary italiana ho contribuito a fondare nel luglio 2005. Dopo un periodo nel comparto industria in una società della famiglia Malacalza sono rientrato nello shipping come referente finanziario della Vroon, con ottime performance italiane, prima del suo declino finanziario a livello centrale in Olanda. Ad ogni buon conto ho terminato la mia carriera da dipendente come managing director di un Gruppo attivo in diversi comparti, tra cui l’impiantistica. Quella navale è rimasta ‘appesa’ ma conto di entrare di nuovo in questo business da imprenditore, stay tuned!”.
Ora, invece, di cosa si occupa?
“Da quasi dieci anni ho fondato la mia società di consulenze e servizi FarSoFar, da molti reputata un player di riguardo nell’aiutare le Pmi a traguardare i propri scopi e le proprie vision grazie alla mia vasta esperienza non solo nello shipping, ma anche in tante industries. Collaborano con me una decina di persone.
FarSoFar gestisce tutte le tematiche aziendali di rilievo, dalla soluzione di contingenze economiche e finanziarie critiche, al miglioramento complessivo della redditività, alla redazione di documenti complessi come il bilancio consolidato (Principi italiani e IAS IFRS imposti da Consob) o la redazione di business plan, alla cura di tutti gli aspetti di M&A – dalla ricerca dei target al coordinamento di Due diligence complesse. Ma soprattutto un supporto forte e costante alla frequente solitudine dell’imprenditore a cui spesso serve un taglio “finance” per completare la propria azione.
Ho portato anche un Gruppo a quotarsi in Borsa Italiana nel mercato principale (Euronext Milan) come amministratore e global coordinator.
Collaboro anche con Andrew&Sax e Giano, rilevanti società di consulenze e di servizi alle imprese.
A breve con altre due società istituiremo un consorzio per consolidare la presenza nel mondo dell’impiantistica elettrica civile e nel prossimo futuro anche quella nautica”.
Com’è nata la passione per il viaggio?
“Quasi contemporaneamente alla mia nascita iniziai a sentire questa spinta: forse a sette anni, andando a giocare nei parchi, trovai per terra il tappo di un succo di frutta che raffigurava una bandiera, quella del Lesotho. La vecchia bandiera del Lesotho, un piccolo stato indipendente dal 1966 e circondato interamente dal Sud Africa, raffigurava su campo blu un oggetto che subito suscitò la mia curiosità: il Mokorotlo.
Il Mokorotlo è un cappello di paglia fatto artigianalmente dagli abitanti, i Basotho, di quella nazione; la forma del cappello deriva da una collina, Qiloane, che lì sorge su quegli altipiani dei monti del Drago. Dal monte sovrastante di Thaba Bosiu un capo tribù chiamato Moshoeshoe, originario della parte nord orientale del Paese (nel Paese di Llhotse), con un’opera paziente riunì alla fine del secolo scorso tutte le tribù circostanti per fondare lo stato chiamato all’inizio Basutholand, poi Lesotho, di cui divenne il primo re.
Ritorno al tappo. Quando lo trovai chiesi alcune informazioni ai più grandi per capire che cos’era questo mondo e come funzionava e perché tutti quei bei colori indicavano un dove e non che cosa.
La risposta fu che altri tappi arrivarono: presto il mio primo planisfero fu appiccicato alla parete della mia cameretta; altrettanto presto sapevo a memoria tutti gli stati del mondo e le sue bandiere; dopo forse due anni ne conoscevo le capitali, i confini e le peculiarità morfologiche, tanto che mia madre voleva mandarmi ad una trasmissione a quiz per “piccoli geni” della geografia.
Come tutte le cose di cui ci si appassiona, che devono essere coltivate e mantenute “fresche”, il mio interesse per i viaggi è sempre stato costante in questi anni; alimentato dai miei genitori dall’infanzia sino all’adolescenza: anche quando studiavo all’università riuscivo con i pochi mezzi che avevo a visitare almeno uno stato nuovo l’anno (solo nel 1991 e nel 2014 non ho varcato nessun nuovo confine)”.
Quanti Paesi ha visitato?
Ho visitato 184 paesi. Oltre ai 180 iscritti all’Onu (su 193), a cui convenzionalmente – senza implicazioni politiche ma solo geografiche, se ne aggiungono altri 4 non iscritti ma generalmente riconosciuti nel mondo occidentale, Kosovo, Taiwan, Vaticano e Palestina. Me ne mancano 13 per finire. Sono stato nominato referente per l’Italia della community NomadMania, la più rilevante e qualificata tra i viaggiatori nel mondo”.
Quanto tempo dedica ai suoi viaggi?
“Di solito per visitare 4/5 nuovi Paesi riesco ad accontentarmi di circa 15 giorni all’anno: considerata la mia attività e la famiglia, a cui non voglio togliere tempo per le vacanze “tradizionali”, quel tempo mi è sufficiente per tutto. Viaggiando prevalentemente da solo faccio dilatare le giornate grazie allo scarso sonno e agli efficientamenti dei tempi. Se poi mi perdo qualcosa, riesco quasi sempre a rimediare in viaggi successivi”.
Il ricordo più bello legato a un suo viaggio?
“Quella stupenda aspettativa quando stai per raggiungere una meta desiderata e agognata da anni, ma ancor di più quando raggiungi quel luogo e la realtà è ancora più bella!
Mi è capitato con il Mont San Michel nel 1986, la mia prima vista di Manhattan dal finestrino d’aereo nel 1992, il Tempio del Giaguaro a Tikal nel 1998, la collina Qiloane in Lesotho e le cascate Vittoria nel 2000, il Perito Moreno in Argentina nel 2004, Angkor Wat in Cambogia nel 2005, i gorilla dell’Uganda a due passi da me nel 2008 visti con mia madre settantenne, Sao Tome nel 2012, La bocca dell’inferno turkmena nel 2019, le piramidi di Meroe in Sudan nel 2021, la meraviglia delle isole polinesiane di Tonga, Tuvalu e Samoa dove ebbi l’incredibile sensazione di vedere per primo al mondo un nuovo sole, quello dell’11 novembre 2024, essendo a ridosso della linea di cambiamento di data”.
Qual è stato il momento in cui ha avuto più paura?
“In Sierra Leone, nel 2017, ho attraversato la giungla dell’isola di Banana. Per raggiungere un istmo collegato da un sentiero perduto nei decenni, mi sono imbattuto a 15 cm dal Mamba Verde, il serpente tra i più letali del mondo. Placidamente strisciò lontano da me. Non mi fanno paura i serpenti, ma quello sapevo che mi avrebbe ucciso e per qualche minuto sono stato immobile a pensare a quel fortuito incontro.
Nel 2008, in Burundi, alcuni soldati armati, malvestiti e poco rassicuranti mi fecero deviare il percorso originale, che fu chiuso sulla strada per la vecchia capitale sul lago Tanganica, avvertendomi però che sul percorso nuovo ci sarebbero stati i banditi. Fortunatamente non li incontrai, ma per quei 20km ebbi molta paura”.
Qual è il piatto più buono che ha mangiato in giro per il mondo?
“L’astice in uno dei tantissimi grill in Massachusetts. I Pupus del Nicaragua, ma soprattutto gli innumerevoli piatti di crostacei grigliati in giro per le spiagge del mondo”.
Se potesse scegliere in quale Paese abitare, Italia compresa, quale sceglierebbe e perché?
“L’Italia indubbiamente, avendo le radici qui non potrei allontanarmi. Nonostante abbia avuto diverse occasioni in vita mia per trasferirmi altrove ho preferito rispettare la fatica e i sacrifici dei miei nonni e genitori mantenendo alcune loro proprietà. L’Australia però, mi ha tentato moltissimo”.
Come organizza i suoi viaggi per conoscere al meglio popolazioni, usi e costumi?
“Per anni studio gli aspetti peculiari storici e geografici, ma anche etnologici e geopolitici dei paesi che voglio visitare. Ma è soprattutto al ritorno che approfondisco ancor di più ciò che ho visto e vissuto, se questo mi ha particolarmente colpito”.
Determinazione nel lavoro e determinazione nel voler girare il mondo. Il viaggio è un po’ la metafora della sua professione…
“Nel mio lavoro contano solo i risultati: in primis misurabili, costanti e raggiungibili nelle tempistiche definite. Questa costanza e perseveranza è stata nel tempo mutuata nelle diverse sfere della mia vita, compresa quella dei viaggi.
Il cambiamento delle mete è anche metafora di innovazione da portare in azienda, sempre. Una bicicletta ferma cade sempre. L’attesa è altrettanto fonte di virtuosa tensione verso il risultato, per cui, che sia una negoziazione fondamentale per me o i miei clienti, o che sia un volo aereo, tutto è fonte di meticolosa preparazione”.
Dove vorrebbe tornare quando avrà “messo una bandierina” su tutti gli Stati del mondo?
“Tornerei volentieri laddove non sono ancora andato, ma soprattutto laddove nel mio cuore è rimasto dentro un sorriso, una gaudiosa sensazione di pace, un appagamento facilmente replicabile”.
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