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La movimentazione di carbone nei porti italiani è destinata a crollare

Il progressivo phase out del carbone presso le centrali elettriche Enel in giro per l’Italia è tornato d’attualità. Il rapido decremento atteso nei volumi sbarcati nel nostro Paese avrà un impatto significativo sull’indotto portuale in termini di toccate navi che mancheranno all’appello con conseguente riduzione della mole di lavoro per servizi tecnico nautici, broker, agenti […]

di Nicola Capuzzo
14 Maggio 2020
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Il progressivo phase out del carbone presso le centrali elettriche Enel in giro per l’Italia è tornato d’attualità. Il rapido decremento atteso nei volumi sbarcati nel nostro Paese avrà un impatto significativo sull’indotto portuale in termini di toccate navi che mancheranno all’appello con conseguente riduzione della mole di lavoro per servizi tecnico nautici, broker, agenti marittimi, lavoratori portuali, ecc.

Il tema è emerso dopo l’ultima trimestrale di Enel e soprattutto in seguito al fatto che il fondo sovrano della Norvegia, il più grande del mondo con mille miliardi di dollari in gestione, ha annunciato di aver messo sotto osservazione alcune società, fra cui proprio Enel (le altre sono Hp, Uniper e Vistra Energy), che rischiano di essere escluse dal portafoglio se non affronteranno il tema dell’utilizzo o della produzione di carbone. Una precisa linea d’azione e d’investimento intrapresa da tempo dal fondo e che ha portato Oslo a cedere quote di cinque società fra cui Glencore, AngloAmericana, Rwe, Agl Energy e il gruppo sudafricano Sasol.

Enel possiede tuttora diverse centrali elettriche alimentate a carbone, gran parte di queste in Italia, e il fondo norvegese è uno dei maggiori azionisti del gruppo italiano, con una quota del 2,13% a fine 2019, del valore di 1,7 miliardi di dollari. Lo scorso anno il Parlamento norvegese ha approvato regole più stringenti: se il fondo sovrano in precedenza doveva mettere al bando le società con oltre il 30% delle entrate o delle operazioni legate al combustibile fossile, ora nella lista nera finisce anche chi produce più di 20 milioni di tonnellate l’anno di carbone termico o possiede una capacità di generazione a carbone superiore a 10mila MW.

Da qui nascono i problemi per Enel. Il gruppo guidato da Francesco Starace, primo produttore privato al mondo di energia rinnovabile, già impegnato nel phase out totale di carbone, nel primo trimestre di quest’anno aveva ancora una capacità a carbone installata di 11,7 Gigawatt. Nel suo piano industriale Enel prevede una discesa a 6,6 GW entro il 2022, che dovrebbe soddisfare Oslo e in merito alle centrali italiane, ha chiesto la Valutazione di impatto ambientale (Via) per riconvertire a gas l’impianto di Brindisi, mentre l’iter autorizzativo è già avviato per le centrali di La Spezia, Fusina e Civitavecchia.

Sempre a proposito di minori volumi di carbone nei porti italiani, negli ultimi anni sempre Enel ha spento la centrale del porto di Genova mentre quella di Vado Ligure (Savona), in seguito a un’inchiesta della magistratura, è stata riconvertita a gas con relativo azzeramento degli sbarchi.

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