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Economia

Coronavirus, dazi e spostamento delle produzioni dalla Cina: il trasporto container destinato a cambiare

Da un’indagine condotta da Flexport fra cargo owner e produttori è emerso che più della metà degli intervistati ha trasferito le proprie fonti di approvvigionamento negli ultimi sei mesi e che quasi un partecipante su tre ha trasferito più del 10% delle proprie fonti di approvvigionamento in altri paesi. L’interruzione della catena di fornitura globale […]

di Nicola Capuzzo
28 Settembre 2020
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Da un’indagine condotta da Flexport fra cargo owner e produttori è emerso che più della metà degli intervistati ha trasferito le proprie fonti di approvvigionamento negli ultimi sei mesi e che quasi un partecipante su tre ha trasferito più del 10% delle proprie fonti di approvvigionamento in altri paesi.

L’interruzione della catena di fornitura globale causata dalla pandemia di coronavirus a livello globale e l’escalation delle tensioni fra Cina e Stati Uniti prima delle elezioni presidenziali americane stanno spingendo i proprietari di merci e i loro operatori logistici 3PL a intensificare gli sforzi per trovare opzioni di fornitura non cinesi. È il fenomeno cosiddetto di reshoring della produzione

Anche se l’intero processo migratorio dei centri di produzione dall’Estremo Oriente richiederà del tempo per compirsi, gli spedizionieri dicono che per ora un processo di diversificazione delle opzioni di approvvigionamento da parte dei produttori è già iniziato e dovrebbe accelerare, in particolare tra le aziende statunitensi.

Il responsabile del trasporto marittimo globale di Dhl Global Forwarding, Dominique von Orelli, ha sottolineato a Lloyd’s Loading List che, ancora prima che il mondo scoprisse il coronavirus, la guerra dei dazi fra Usa e Cina aveva già incentivato i produttori a spostare la produzione fuori dalla Cina per evitare tariffe gonfiate sulle esportazioni dirette oltreoceano. “Quel processo è iniziato prima e continuerà. Quando parlo con i nostri clienti, cercano siti di produzione alternativi” ha spiegato von Orelli. “C’è poca fiducia nel rapporto Cina-Stati Uniti, penso che sia molto chiaro, soprattutto quando parliamo con i nostri clienti negli Stati Uniti”.

La dipendenza dalla Repubblica Popolare come patria della manifattura è quindi messa in discussione. “La Cina sarà sempre importante perché è la Cina. Se la situazione cambierà può essere detto solo dopo l’emergenza coronavirus e le elezioni americane”.

Un recente webinar organizzato da Flexport ha mostrato come le esportazioni verso gli Stati Uniti da paesi del sud-est asiatico che hanno beneficiato dello spostamento della produzione dalla Cina sono state molto più robuste durante la fase iniziale del lockdown conseguente al coronavirus.

Dopo cinque difficili mesi, le importazioni statunitensi dalla Cina hanno iniziato a riprendere a partire da giugno. Tuttavia, quest’anno Vietnam, Tailandia, Singapore e Indonesia hanno goduto di una crescita più stabile delle esportazioni verso gli Stati Uniti, con il Vietnam che si è messo in particolare evidenza durante tutta la pandemia.

Da un sondaggio condotto tra i partecipanti al webinar Flexport è emerso che negli ultimi sei mesi oltre il 50% dei volumi si è allontanato dalla Cina. Nerijus Poskus, vertice della divisione Ocean freight di Flexport, ha dichiarato che “un vincitore della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina è sicuramente il Vietnam. Le esportazioni vietnamite verso gli Stati Uniti sono rimaste straordinariamente forti anche durante la pandemia. È come se la pandemia non ci fosse mai stata”.

Tuttavia, nei mesi di giugno e luglio, non solo le esportazioni dalla Cina si sono riprese, ma sono anche cresciute rispetto all’anno scorso. Secondo Martin Holst-Mikkelsen, responsabile del trasporto marittimo in Europa per Flexport, la Cina rimarrà un importante polo produttivo ancora per molti anni a venire.

La Cina gode di importanti infrastrutture e, secondo gli esperti di Flexport, “le competenze e le capacità che sono state stabilite nel corso dei decenni non possono essere sostituite in un breve periodo di tempo. Alcune produzioni, naturalmente, sono più facili da spostare rispetto ad altre. E se si pensa all’abbigliamento o all’arredamento, si hanno in realtà buone alternative che emergono in altre parti del mondo”. Detto ciò, per le industrie che si affidano alla tecnologia, spostare i paesi di produzione è stato difficile. E non si parla solo di manodopera e fabbriche, ma anche di materie prime che sono disponibili in Cina e non facili da trasferire.

Klaus Lysdal, vicepresidente di iContainers, ha evidenziato a Lloyd’s Loading List il fatto che per molti spedizionieri questa evoluzione rappresenta una “brutta sorpresa”. Se prima una casa di spedizioni faceva 10 container al mese dalla Cina, in futuro probabilmente la stessa mole di lavoro si tradurrà in cinque box dalla Cina, tre dal Vietnam e due dall’India, o da qualsiasi altro paese in cui abbiano trovato altri fornitori a prezzi competitivi. Una diversificazione dei mercati di approvvigionamento garantisce la possibilità di scegliere tra diversi bacini di fornitura se la guerra dei dazi dovesse permanere o intensificarsi.

In un futuro non troppo ravvicinati è possibile che grandi produttori muovano un volume di merce in export dall’Asia con provenienza da Paesi che non sono la Cina.

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