Vendita di navi vecchie e normativa ‘ship-recycling’: rischi e tutele per l’armatore
L’avv. Brian Dardani approfondosce il tema relativo al rischio di essere coinvolti in manovre elusive da parte del compratore
Contributo pubblicato su TRANSPORT LEGAL a cura di avv. Brian Dardani *
* Dardani Studio Legale
Il sistema di norme volte ad assicurare che le demolizioni navali siano compatibili con la sicurezza e la salvaguardia della salute umana e ambientale è vigente in Italia ormai da tempo, risalendo al 31 dicembre 2018 l’entrata in vigore del relativo Regolamento (UE) n. 1257/2013, che notoriamente incorpora e tende a favorire la più estesa applicazione delle norme elaborate in sede internazionale e stabilite, tramite la Convenzione di Hong Kong, dall’International Maritime Organization (IMO), in accordo con l’International Labour Organization (ILO). Altrettanto vigente è il decreto legislativo n. 99 del 30 luglio 2020 che, in attuazione della normativa comunitaria, esprime la “disciplina sanzionatoria” per le violazioni dello stesso regolamento.
Recentemente la stampa riferisce con crescente regolarità dei casi in cui tale sistema normativo è stato autoritativamente applicato mediante l’irrogazione di sanzioni, sia per il mancato rispetto delle norme relative alla carenza di “dichiarazione di conformità” prevista dall’articolo 12 del regolamento, sia anche per la violazione dell’articolo 6.2.(a) dello stesso, cioè della norma che contiene il generale obbligo per l’armatore di garantire che le navi siano riciclate esclusivamente nei cantieri autorizzati. Il sistema normativo ‘ship-recycling’ è dunque ben vigente e applicato, e ciò non si presta soltanto alle dotte indagini di studi scientifici, ma presenta anche estrema rilevanza immediata per gli armatori e i loro finanziatori, specialmente in questo momento storico preciso in Italia, dove le congiunture ormai durevoli della crisi economica hanno limitato le nuove costruzioni e la flotta esistente è in genere sensibilmente invecchiata, come è tristemente noto a tutti.
Evidentemente, stante il nuovo sistema normativo, l’armatore dovrà peritarsi di rispettare tutte le relative prescrizioni e dovrà organizzare la demolizione delle proprie navi presso uno dei cantieri autorizzati. Ma la situazione è assai più complicata e colma di rischi quando l’armatore non proceda direttamente alla demolizione della sua vecchia nave, ma la venda a un altro armatore interessato a continuarne la gestione, almeno dichiaratamente e almeno per un certo periodo.
Tale vendita non sembra criticabile sotto alcun aspetto, quando sia genuina. Ma talora le caratteristiche dell’operazione sono tali da ingenerare il sospetto che la vendita dissimuli una demolizione non conforme alla normativa, specialmente quando la nave sia ceduta alla società veicolo di un ‘cash buyer’, che cambierà bandiera al fine esclusivo di procedere alla demolizione non in armonia con le norme applicabili alla nave battente bandiera italiana: così, eventuali riferimenti in trattativa o nel contratto di compravendita al lightweight, all’assenza di certi materiali a bordo al momento della consegna, e soprattutto al prezzo contrattuale determinato sulla base del tonnellaggio, o anche la semplice esistenza di un prezzo di vendita superiore a quanto il mercato delle demolizioni rispettose della normativa consentirebbe di guadagnare, sono tutti elementi che possono essere interpretati (come è infatti avvenuto all’estero in casi analoghi, per esempio nella sentenza inglese Hamida Begum (on behalf of MD Khalil Mollah) v Maran (UK) Limited [2021]) come segnali di elusione della normativa applicabile e di coinvolgimento dell’armatore venditore nella simulazione preordinata dal compratore in mala fede, con la conseguente soggezione a tutte le conseguenze negative (sanzioni amministrative e responsabilità civile e penale).
In tali circostanze, l’armatore venditore genuinamente estraneo a simili operazioni elusive, perché autenticamente convinto che il compratore farà navigare la nave ancora per quel tanto perché la vendita possa qualificarsi davvero come una vendita ‘second hand’, e non un’alienazione a fini demolitori mascherata da vendita fittizia, corre il rischio di essere coinvolto nell’operazione elusiva e quindi nella successiva responsabilità. E vale la pena di ricordare che tali rischi riguardano anche i finanziatori dell’armatore che abbiano strutturato il finanziamento nelle forme del leasing / bareboat charter, riservandosi quindi la proprietà della nave. Infatti, essi sono certamente inclusi nella definizione di “armatore” prevista all’articolo 3.1.(14) del Regolamento 1257/2013 e ne sono quindi sottoposti direttamente.
Ebbene, come possono l’armatore venditore e i suoi finanziatori in buona fede tutelarsi da rischi simili? Da un punto di vista contrattuale, un rimedio può essere offerto dalla previsione di una garanzia specifica del compratore: un’apposita clausola può essere redatta al fine di garantire il venditore che il compratore, nonché tutti gli eventuali successivi compratori della nave rispetteranno la normativa ‘ship-recycling’ applicabile alla nave battente bandiera italiana, anche a prescindere dagli eventuali cambi di bandiera operati dal compratore.
Evidentemente, si tratta di un impegno particolarmente gravoso per l’acquirente ed è improbabile che l’armatore venditore abbia un potere negoziale sufficiente per poterne pretendere l’inclusione nel contratto di compravendita. Ben diversamente, invece, avviene per i finanziatori che generalmente hanno la forza di esigere che il proprio finanziato (lessee / bareboat charterer) acquisiti la proprietà della nave prima di rivenderla a terzi (così riducendo complessivamente i rischi della vendita), imponendo la propria voce e le proprie clausole, addossando quindi sul proprio finanziato i rischi sopra indicati. Ma, indipendentemente o in aggiunta a tale cautela contrattuale, che comunque non riesce a offrire rassicurazioni pienamente soddisfacenti, l’armatore venditore e il suo finanziatore potranno veramente proteggersi dal rischio di coinvolgimento in operazioni elusive solo dimostrando un’autentica innocenza ed estraneità rispetto alla stessa operazione elusiva del compratore. E ciò risulterà tanto più difficile quanto meno l’armatore saprà contemperare il proprio interesse alla massimizzazione dei profitti, con l’esigenza di
veder rispettata la normativa applicabile.
È infatti il prezzo elevato, più elevato di quanto il mercato delle demolizioni conformi a normativa generalmente consenta di ottenere, tanto interessante da cogliere il gradimento da parte di qualsiasi operatore sul mercato, l’elemento che più di tutti può far cadere il venditore nei maggiori rischi di complicità, per la consapevolezza che a fronte di un prezzo così allettante non sarebbe stato possibile procedere ad unademolizione conforme alla normativa ‘ship-recycling’. Così, il perseguimento del maggior profitto possibile, che è scopo primario e naturale dell’armatore e del suo finanziatore, entrambi essendo società commerciali lucrative, rischia di tradursi in una collusione con il compratore in mala fede nelle relative manovre elusive.
Solo la prudenza nella valutazione di tutte le circostanze della vendita e una generale diffidenza del proprio interesse al profitto (vera ‘aviditatis suae despicientia’), oltre a una sincera vocazione per il rispetto della normativa posta a tutela degli alti obiettivi di tutela della sicurezza e della salvaguardia della salute umana ed ambientale, potranno permettere di scongiurare tali rischi.
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