Autoproduzione in banchina, in Sicilia si può
Per il Tar di Palermo il limite introdotto dal Decreto Rilancio (indisponibilità di imprese portuali o fornitori di manodopera) non esiste, operazioni e servizi portuali sono effettuabili dal bordo

Il collegio giudicante è cambiato, ma la sezione terza del Tar di Palermo continua a risultare una sorta di zona franca per l’autoproduzione delle operazioni di imbarco e sbarco a bordo delle navi.
Come già accaduto all’inizio del 2021, infatti, i magistrati del tribunale regionale siciliano si sono nuovamente pronunciati su un contenzioso riguardante l’affidamento al bordo di operazioni o servizi portuali senza tener conto nè menzionare le modifiche introdotte dal Decreto Rilancio dell’estate 2020 al relativo articolo (16) della legge portuale. Un intervento (ancora orfano del relativo decreto attuativo) che condizionò la possibilità per Autorità di Sistema Portuali e Capitanerie di accogliere istanze di autoproduzione da parte degli armatori all’indisponibilità di imprese portuali o fornitori di manodopera temporanea, e che è stato applicato dagli enti portuali di tutta Italia e riconosciuto dai rispettivi tribunali, da Genova a Napoli.
Non però da quello palermitano.
La sentenza di pochi giorni fa riguardava il ricorso della società cooperativa Pelagica contro l’autorizzazione rilasciata nel 2018 dalla Guardia Costiera di Lampedusa a Caronte&Tourist a operare in autoproduzione nei porti di Lampedusa e Linosa “le operazioni di rizzaggio e derizzaggio e imbarco/sbarco di mezzi della nave denominata Sansovino”.
Detto che il ricorso è stato dichiarato improcedibile perché nel frattempo l’autorizzazione è scaduta, il Tar, per decidere delle spese, si è comunque pronunciato sui motivi di ricorso di Pelagica, bocciandoli tutti. In particolare i giudici hanno sentenziato che “nessuna preclusione normativa sussiste rispetto all’esercizio in regime di autoproduzione delle operazioni e dei servizi portuali”. La legge 84/1994, anzi, prende le mosse, ha ricordato il Tar palermitano, proprio dalla “nota sentenza della Corte di Giustizia del 10.12.1991 causa C-179/90 Porto di Genova con cui, ritenuta la normativa nazionale in contrasto con quella europea, è stato statuito che il combinato disposto dell’art. 90, n. 1, e degli arti. 30, 48 e 86 del Trattato CEE osta alla normativa di uno Stato membro che conferisca ad un’impresa stabilita in questo Stato il diritto esclusivo d’esercizio delle operazioni portuali e le imponga di servirsi, per l’esecuzione di dette operazioni, di una compagnia portuale composta esclusivamente di maestranze nazionali”.
Proseguendo il dotto excursus con varie citazioni giurisprudenziali atte a definire le “operazioni portuali” e i “servizi portuali”, i giudici hanno infine rimarcato conclusivamente come il comma 3 dell’articolo 16 preveda che tali attività possono essere “espletate per conto proprio o di terzi”, sorvolando però sul comma successivo, quello appunto modificato dal Decreto Rilancio di due anni fa, che condiziona la possibilità di autorizzare singole navi all’autoproduzione non solo all’idonea dotazione in termini di mezzi e personale, ma anche alla impossibilità di “soddisfare la domanda di svolgimento di operazioni portuali né mediante le imprese autorizzate ai sensi del comma 3 del presente articolo né tramite il ricorso all’impresa o all’agenzia per la fornitura di lavoro portuale temporaneo”. Domanda che a Lampedusa può invece essere soddisfatta fra l’altro da Pelagica.
A.M.
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