Allarme e interrogazione Pd sulla flotta e sul personale di Saipem
In un’interrogazione si chiede a Giorgetti se sia vero cherilevanti asset (quali la flotta di navi, le basi offshore e gran parte del personale italiano con il suo know how) rischiano di essere conferiti a una nuova good company con sede a Londra

L’annunciata fusione tra Saipem e Subsea7 non convince il Partito Democratico che al Senato ha presentato un’interrogazione (primo firmatario Antonio Misani) al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti per segnalare il rischio per l’Italia di subire perdite di professionalità e asset strategici di una società che negli ultimi anni è stata risanata con risorse pubbliche.
Nell’interrogazione i senatori evidenziano in particolare come in esito all’annunciata fusione la Siem Industries, azionista di riferimento di Subsea7, dovrebbe risultare titolare di circa l’11,9% della nuova società, mentre Eni e Cdp Equity, azionisti di riferimento di Saipem, ne deterrebbero, rispettivamente, circa il 10,6% e il 6,4%.
Dei quattro business in cui sarà articolata la nuova società (“offshore engineering & construction”, “onshore engineering & construction”, “sustainable infrastructures” e “offshore drilling”) l’offshore E&C sarà incorporato in una società autonoma, denominata “Subsea7 – a Saipem7 Company”, che dovrebbe essere guidata da John Evans, attuale a.d. di Subsea7, mentre Alessandro Puliti dovrebbe diventare a.d. della combined company.
In questo, proseguono Misiani e altri esponenti Pd, “potenzialmente i rilevanti asset propri di Saipem quali la flotta di navi, le basi offshore e gran parte del personale italiano con il suo know how dovrebbero essere conferiti sotto la società Subsea7 andando a creare, nei fatti, una good company con sede a Londra e lasciando in Italia le attività di minor rilievo tecnologico, volume, asset”.
Inoltre, “secondo quanto riportato su diversi articoli di stampa, Siem Industries, da tale operazione, incasserebbe subito 80 milioni di euro ritrovandosi azionista di riferimento di un gruppo 4 volte più grande” e, per finire, “non è chiaro se in questa operazione verrà mantenuta la golden share e se o quali azionisti avranno il controllo”.
In particolare, rilevano i senatori Pd, “se Cassa depositi e prestiti o Eni vendessero, il compratore perderebbe il voto doppio e l’azionista Siem Industries avrebbe la maggioranza relativa. Se, viceversa, Siem Industries vendesse ed Eni e Cdp restassero azionisti, il cuore della società resterebbe fuori dall’Italia”.
In conclusione, quindi, “si rischia di svendere al sistema anglo-norvegese una società in salute e risanata con risorse pubbliche” e “un asset industriale strategico per il nostro Paese”, che “crea occupazione di elevata competenza e alimenta una filiera tecnologica complessa”.
Per questo il Pd chiede a Giorgetti se “sia stato tempestivamente informato e sia a conoscenza dei dettagli relativi all’intesa preliminare per la fusione”, “se non ritenga opportuno verificare l’inserimento, nell’ambito dell’intesa, di adeguate garanzie affinché il pacchetto di asset di Saipem non sia disperso passando sotto il controllo straniero e se il Governo intenda eventualmente esercitare i poteri speciali previsti” dal golden power “al fine di garantire il mantenimento del controllo della Saipem e dei suoi asset strategici per il nostro Paese”.
Misiani e colleghi chiedono infine “se corrisponda al vero che, per effetto dell’intesa, rilevanti asset propri di Saipem (quali la flotta di navi, le basi offshore e gran parte del personale italiano con il suo know how) rischiano di essere conferiti alla Subsea7 creando, nei fatti, una good company con sede a Londra, lasciando in Italia soltanto le attività di minor rilievo tecnologico, volume, asset; in tal caso quali misure intenda adottare al fine di evitare la perdita di professionalità e asset strategici per il nostro Paese”.
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