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Economia

Il contesto geopolitico aggiunge pressione sull’impatto ambientale del trasporto marittimo

Sebbene rimanga la modalità di trasporto meno inquinante in rapporto al tonnellaggio di merci trasportate, le emissioni potrebbero raddoppiare entro il 2050 a causa del costante aumento dei volumi di merci

di Nicola Capuzzo
16 Maggio 2025
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Contributo a cura di Marc Anis Hanna *

* Credit and Esg research analyst di Crédit Mutuel Asset Management

 

Il trasporto marittimo rappresenta il 90% del commercio globale e genera il 3% delle emissioni di gas serra. Sebbene rimanga la modalità di trasporto meno inquinante in rapporto al tonnellaggio di merci trasportate (6 volte meno del trasporto su strada), le emissioni potrebbero raddoppiare entro il 2050 a causa del costante aumento dei volumi di merci.

Geopolitica internazionale, rimodellamento dei flussi marittimi

Fino a poco tempo fa, il 20% del commercio mondiale di container passava attraverso il Canale di Suez. Tuttavia, dallo scoppio del conflitto in Medio Oriente nell’ottobre 2023, l’impennata del numero di attacchi Houthi dallo Yemen ha fortemente mutato il trasporto marittimo lungo questa rotta, con un calo del 67% nel 2024. In risposta, le principali società di trasporti hanno dirottato parte del loro carico verso il Capo di Buona Speranza (Sudafrica), prolungando il viaggio di circa 6.000 km, ovvero di altri 10-15 giorni. Questa decisione ha comportato un aumento dei costi di trasporto e delle emissioni di carbonio, che l’ONG Transport & Environment stima in un aumento medio del 45% per tratta.

Un altro importante elemento geopolitico è la guerra commerciale. Da quando il Presidente Trump si è insediato, le minacce di dazi si sono concretizzate, come l’implementazione di un dazio del 25% sui veicoli importati dal 3 aprile 2025 e sui fornitori del settore auto a partire dal 3 maggio 2025. L’escalation è ancora più marcata tra Stati Uniti e Cina. Il 9 aprile 2025 il Direttore Generale dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) ha avvertito che gli scambi tra questi due Paesi potrebbero diminuire dell’80%, innescando un’importante riorganizzazione delle catene di approvvigionamento e un eccesso di scorte, che porterebbe a un forte aumento dei volumi commerciali nella prima metà del 2025 e a un aumento delle emissioni di carbonio nel breve termine.

Inoltre, il governo USA sta valutando la possibilità di imporre una tassa di 120 dollari a container, ossia circa 1-3 milioni di dollari per ogni nave di costruzione cinese che attracca negli Stati Uniti. Poiché i cantieri cinesi rappresentano il 39% della produzione globale e il 70% dei nuovi ordini, si teme che il traffico globale venga interrotto, con conseguenti deviazioni. Le navi portacontainer scaricherebbero le merci nei Paesi vicini, congestionando i loro porti, prima di trasportarle con i camion, con emissioni sei volte superiori.

Riscaldamento globale e trasporto marittimo: un circolo vizioso

Sebbene questi mutamenti possano avere un effetto positivo sul clima a lungo termine, in particolare attraverso la delocalizzazione delle fabbriche, nel breve termine accelereranno il riscaldamento globale, con un impatto su altre rotte di navigazione, come il Canale di Panama.

Il Canale di Panama gestisce circa il 6% del traffico marittimo globale, che si traduce in circa 14.000 navi all’anno e rappresenta il 40% del trasporto merci containerizzato degli Stati Uniti. Da solo ha evitato l’emissione di 16 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Alimentato dall’acqua dolce, impiega un complesso sistema di chiuse per sollevare le navi fino al livello del lago Gatun. Con le siccità ricorrenti, l’acqua dolce non è più sufficiente per sfruttare al meglio questa via, costringendo le autorità a ridurre il traffico del 40% nel 2023 e le navi ad adottare rotte alternative molto più lunghe.

Tuttavia, il riscaldamento globale ha anche aperto una nuova rotta marittima che collega l’Asia all’Europa e riduce le distanze in media del 40%. La Northern Sea Route, resa accessibile dallo scioglimento dei ghiacci, è oggetto di interesse economico. Infatti, nel decennio 2013 – 2023 il numero di navi che utilizzano questa rotta è aumentato del +37%, amplificando i rischi ambientali. Gli ecosistemi polari sono minacciati dall’inquinamento: emissioni di carbonio nero (derivato da una combustione incompleta) che si depositano sul ghiaccio e ne accelerano lo scioglimento, degassamento selvaggio in mare e fuoriuscite di olio combustibile pesante utilizzato nel trasporto marittimo. In risposta a queste sfide ambientali, alcune società di trasporto merci hanno già scelto di evitare questa rotta.

Nuove fonti energetiche e normative a sostegno della transizione climatica

Gli obiettivi climatici fissati dall’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) – raggiungere l’azzeramento delle emissioni di gas serra entro il 2050 – sono a rischio. Tuttavia, esistono due modi principali per contribuire a mitigare gli apporti negativi per il clima. Il primo è la regolamentazione. Per accelerare l’abbandono dei combustibili fossili, l’Unione Europea ha adottato una carbon tax che rappresenterà dal 2% al 5% dei costi di trasporto nel 2024 e potrebbe raddoppiare nel 2025. Nel frattempo, per ridurre le emissioni di CO2 del 30% entro il 2035 (rispetto al 2008), l’IMO ha deciso che a partire dal 2028 tutte le navi che non riusciranno a ridurre ogni anno la loro intensità di emissioni (sulla base di 93gCO2/MJ) pagheranno una multa equivalente a 380 dollari per tonnellata di CO2 in più. Inoltre, nonostante le forti pressioni geopolitiche, l’IMO ha rafforzato le normative vietando l’uso di olio combustibile pesante nell’Artico a partire dal 2024 (anche se con molte eccezioni fino al 2029).

La seconda opzione è il rinnovo della flotta mondiale, il 94% della quale impiegava energia fossile nel 2024. Cominciano ad emergere combustibili più ecologici, nonostante le realtà operative ne rendano per il momento meno redditizio l’utilizzo. Oltre il 50% degli ordini dei cantieri navali riguarda navi in grado di operare con carburanti alternativi, primo fra tutti il gas naturale liquefatto (38%), seguito dal metanolo (9%). Clarksons, leader del settore, stima addirittura che il 20% della flotta globale potrebbe utilizzare carburanti alternativi entro il 2030, rispetto ad appena l’8% nel 2024. C’è ancora speranza.

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