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Allarme di Assarmatori sulla fuga da Gioia Tauro e dalla bandiera italiana

L’associazione presieduta da Stefano Messina al suo annual meeting ha messo nel mirino in particolare l’Ets e ha lanciato una sorta di ultimatum prima che prenda forma il flagging out del naviglio italiano verso altri registri Ue

di Nicola Capuzzo
1 Luglio 2025
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Assarmatori assemblea – annual meeting 2025 (5)

Roma – Bandiera italiana, Ets, lavoro marittimo, transhipment di container, ambientalismo ideologico, cantieristica navale e rinnovo dei traghetti. Questi i principali argomenti e segnali d’allarme messi al centro della propria relazione da parte di Stefano Messina, presidente di Assarmatori, durante l’annual meeting appena andato in scena a Roma.

L’allarme forse più imminente (che sapeva tanto di ultimatum) sembra essere quello sul rischio di un progressivo flagging out da parte degli armatori italiani pronti a issare sulle proprie navi i vessilli di altri registri europei maggiormente competitivi ed efficienti. “Noi armatori italiani siamo molto attratti dai registri europei, Malta in primis. Non cerchiamo paradisi fiscali ma efficienza. La bandiera italiana sta drammaticamente calando (secondo gli ultimi numeri disponibili si parla di un ulteriore decremento del 15% in tonnellate di stazza lorda);il prestigio e la storia del tricolore a poppa non sono più sufficienti per mantenerne l’impiego” è stato il monito di Messina. A fargli eco durante la tavola rotonda è stato Vincenzo Franza, a.d. di Caronte&Tourist, che ha detto: “In Italia ora stiamo ragionando sul cambio bandiera non solo per competitività fiscale ma anche funzionale e amministrativa”. L’armatore siciliano ha lamentato una “riforme del Codice della navigazione non completata, un Corpo delle Capitanerie che ha ridotto il personale dedicato a certe funzioni, una burocrazia difensiva, ecc. Oggi vediamo bandiere comunitarie serie gestire in maniera automatica funzioni che in Italia richiedono 10 persone”. Poi il lancio di una provocazione (che forse potrebbe non rimanere solo tale): “Ogni armatore dovrebbe mettere una nave in un registro extra-europeo perché costi, complessità e regolamenti della bandiera italiana sono parte delle cause per cui oggi gli stipendi sono bassi e si fatica a trovare nuove risorse. Come armatori abbiamo la possibilità di trovare una scappatoia che non vorremmo seguire”. A chi gli ha fatto notare che la burocrazia in Italia pesa non solo sul settore del trasporto marittimo, Franza lapidario ha risposto dicendo: “Noi però possiamo cambiare bandiera alle navi, gli altri no. Ma non vorremmo approfittarne”.

Al tema del lavoro marittimo è stato dedicato un passaggio della relazione di Messina, con riferimento in particolare agli impiegati sulle navi dedicate al collegamento con le isole minori o nei servizi costieri a servizio dell’industria e delle comunità insulari. “È mai possibile – ha chiesto il presidente di Assarmatori – che il nostro Paese sostenga economicamente i marittimi extracomunitari nei servizi internazionali e di crociera e non i marittimi (quasi tutti se non tutti italiani) che lavorano sulle navi impiegate nei servizi di corto raggio? Forse è questa la ragione per cui abbiamo rinunciato a misurare il fenomeno dei marittimi non europei non dotandoci di una anagrafe digitale dei marittimi?” ha domandato. Assarmatori ha preannunciato che “si batterà per portare un beneficio concreto a un comparto che ha bisogno di essere messo al centro delle politiche di sostegno all’occupazione”.

L’Ets (Emission trading system) è più volte finito nel mirino dell’associazione armatoriale aderente a Conftrasporto-Confcommercio, non solo per l’impatto finanziario che pesa sulle spalle delle compagnie di navigazione ma anche per il rischio di dirottamento dei traffici container. “Una rapida indagine presso i nostri associati ci ha confermato che l’opzione di trasferire il traffico di transhipment in Africa è seriamente presa in considerazione in maniera talmente concreta che sono già stati effettuati importanti investimenti in porti che non prevedono il prelievo ambientale dell’Ets. Prevediamo che nei prossimi mesi e a inizio 2026 a Gioia Tauro, che è uno snodo fondamentale della logistica del nostro Paese anche per motivi geopolitici, possa accusare un calo dei traffici”.

Assarmatori, a proposito di Ets, ha criticato ancora una volta il fatto che “tale prelievo viene applicato in misura indifferenziata ai vari segmenti del trasporto marittimo” e che “non tornerà al settore che lo ha generato, se non in una parte davvero risibile, insufficiente per qualsiasi reale investimento nell’ottica della decarbonizzazione”. Circa 500 milioni di euro saranno a regime i soldi versati ogni anno dal trasporto marittimo su un totale (almeno doppio) incamerato dal Governo dall’Ets ma solo il 15% in capo al Ministero dei trasporti potrebbe tornare sottoforma di incentivi e sostegni allo shipping (un altro 50% è destinato al Mimit e il 70% restante al Ministero dell’economia e delle finanze).

“Partiamo dal dire che il 50% di questi fondi è oggi destinato a tamponare il debito pubblico. Questa regola deve essere cambiata poiché i fondi devono essere reindirizzati al settore che li ha generati” è stato il messaggio chiaro di Messina. “Se si vuole affrontare il rinnovo della flotta dei traghetti italiani non bastano i fondi dell’Ets ma occorre pensare a un intervento massivo dello Stato che aiuti le iniziative degli armatori. Voglio essere chiaro: la più grande flotta di traghetti del mondo, quella che opera in Italia, non potrà essere rinnovata esclusivamente con le risorse degli armatori”.

Messina ha rincarato ancora la dose dicendo: “Ci è stato fatto credere che i proventi generati all’interno del regime Ets dal settore marittimo sarebbero stati giustificati dal fatto che essi sarebbero stati reinvestiti nel medesimo settore per consentire interventi di abbattimento delle emissioni, ovvero per il rinnovo delle flotte, per supportare le autostrade del mare e per coprire il differenziale di costo tra i carburanti tradizionali e quelli di matrice non fossile. L’effettiva restituzione dei proventi al comparto marittimo sarà sensibilmente inferiore al valore del prelievo imposto alla merce e ai passeggeri. Quindi la Commissione Europea, che ci ha detto per tre anni che questo sacrificio avrebbe dato i suoi frutti, sbagliava, e sbagliava di grosso perché l’importo che avremo a disposizione sarà solo una modestissima frazione di quanto si necessita per la decarbonizzazione dello shipping”.

Un ultimo passaggio critico il presidente di Assarmatori lo ha dedicato a quella che per alcuni è stata un’invasione di campo dell’Authority dei Trasporti in materia di riforma portuale e alle nomine dei presidenti di Autorità di sistema portuale, molte delle quali sono state aspramente criticate perché non sembrano rispettare il requisito dell’ampia e comprovata esperienza in materia. “L’archetipo che regge il quadro giuridico di riferimento non può che essere uno e non può essere messo in discussione dall’adozione di misure di regolazione da parte di Art che, lo dico chiaramente, appaiono sovrapporsi, addirittura con effetti escludenti, ai poteri che l’ordinamento ha attribuito all’Autorità di Sistema portuale in primis e alla Vigilanza del ministero dei Trasporti. Questa nostra posizione – ha proseguito Messina – non è ideologica, è importante lavorare in un quadro certo stabilito da regole che scaturiscono da processi democratici affidati alla Politica e al decisore governativo. Mi auguro pertanto che si trovi  un punto di chiarezza per evitare che la nostra logistica viva una nuova stagione di regole sovrapposte che non fanno che confondere operatori e investitori ponendosi quali ostacoli allo sviluppo dei traffici e degli investimenti”.

E infine: “I presidenti di Adsp non possono essere una sorta di sottogoverno. Serve che abbiano comprovata esperienza in materia di porti e che debbano potersi scegliere i segretari generali”.

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