Iumi: “Alzare l’attenzione su schiavitù e lavoro forzato nel settore marittimo”
L’associazione invita gli assicuratori marittimi ad adottare un approccio proattivo al fine di evitare conseguenze legali e reputazionali
In un Position Paper redatto con il contributo del suo gruppo di lavoro specializzato su temi Esg, Iumi (ovvero la International Union of Marine Insurance) ha invitato la categoria degli assicuratori marittimi ad alzare il livello di guardia sulle pratiche di lavoro forzato e schiavitù moderna messe in atto nelle industrie con cui questa si trova ad avere a che fare, più o meno direttamente.
Che si tratti di ambiti quali quello del trasporto via mare (quindi con i rischi relativi all’impiego dei marittimi) o relativi alla produzione tessile, alla pesca, all’agricoltura, o alla manifattura, l’associazione ha invitato i suoi membri ad avviare confronti lungo tutta la filiera e a rafforzare le misure messe in atto, allo scopo di evitare complicità in pratiche di schiavitù moderna.
Anche se gli assicuratori marittimi possono non essere direttamente impattati a livello giuridico da eventuali violazioni, ad essi è infatti richiesto, in misura sempre maggiore dai propri stakeholder, di garantire trasparenza e due diligence adeguate rispetto alle coperture garantite.
Nel suo report Iumi elenca alcune industrie particolarmente esposte, come quella marittima, nella quale i lavoratori, spesso provenienti da aree economicamente svantaggiate, rischiano già nella fase del reclutamento, sia per condizioni di lavoro inadeguate e per lo scarso accesso alle protezioni offerte dalla legge. In questo settore, sono due in particolare le prassi che dovrebbero essere sorvegliate con cura dagli assicuratori: l’abbandono degli equipaggi (310 sono stati nel 2024 i nuovi casi, contro i 142 del 2023) da parte degli armatori e le limitazioni poste rispetto ai congedi a terra.
Altre pratiche si sfruttamento secondo Iumi si osservano diffusamente nel contesto dell’industria tessile, della produzione agricola e manifatturiera e della pesca. Gli assicuratori, conclude Iumi, devono fare attenzione alle “conseguenze reputazionali e legali” del fornire coperture a operatori che mettono in atto pratiche non etiche. Pur non essendo direttamente coinvolti nelle loro azioni, rischiano infatti di favorire inconsapevolmente i loro modelli di business. Le conseguenze reputazionali derivanti dall’essere associati a tali soggetti possono essere dannose, minando la fiducia di clienti, autorità di regolamentazione, investitori e dell’opinione pubblica.
Proteggersi da questo rischio significa, per la categoria, adottare un atteggiamento proattivo, integrando forme di due diligence, sottoscrizioni etiche e politiche Esg chiare, che garantiscano loro di non essere complici nel perpetuare la schiavitù moderna e il lavoro forzato.
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