Entro il 2030 emissioni ridotte solo del 5% in Italia da cold ironing e Gnl
Lo stima il Blue Economy Monitor di Intesa Sanpaolo e Sda Bocconi, che invita quindi a spingere su misure come Ccs e su un cambio di approccio negli appalti della Pubblica Amministrazione
Le politiche italiane di decarbonizzazione del trasporto via mare, basate principalmente sullo sviluppo del Gnl come carburante e del cold ironing per le soste in porto, produrranno effetti limitati in termini sulle emissioni di settore, pari a meno del 5% entro il 2026.
Lo stima il Report sulla Mobilità sostenibile prodotto dal nuovo osservatorio Blue Economy Monitor, avviato da Intesa Sanpaolo con Sda Bocconi School of Management, e presentato nei giorni scorsi a Milano.
Pur da “rafforzare ulteriormente”, le due azioni, hanno infatti evidenziato “limiti strutturali”. Per il gas naturale liquefatto, relativi alla sua capacità contenuta di ridurre le emissioni, se non in forma di bio-Gnl o eGnl, il cui utilizzo nel settore è però limitato “dalla competizione con l’utilizzo nel settore del trasporto stradale”, per un effetto di riduzione delle emissioni del trasporto via mare di circa l’1%.
Per il cold ironing questi invece risiedono nel poter servire un numero “complessivamente ridotto di navi, principalmente da crociera e container, cioè i target degli specifici investimenti previsti dal Pnrr”. Sulla base di dati Ispra 2023, l’analisi ha calcolato che gli attracchi di unità di questo tipo (anno di riferimento il 2019) è pari al 18,8% del totale, per circa 3.435 navi Considerando che in media i consumi in porto sono equivalenti al 20% del totale delle emissioni delle navi, il report conclude che a completamento della infrastruttura (entro la fine del 2026), se pure il cold ironing venisse utilizzato da tutte le navi container e da crociera, potrà incidere sino al 3,8% del totale delle emissioni di gas clima-alteranti del trasporto marittimo a livello nazionale.
Anche spostando lo sguardo al 2030, secondo i ricercatori i due interventi (cold ironing più Gnl e a seguire bio-Gnl) potranno garantire al massimo un effetto di riduzione di “meno del 5% del totale delle emissioni riferite al trasporto marittimo in Italia”.
In una logica sistemica, lo studio ha evidenziato come “non debba esser minata la competitività” del trasporto via mare rispetto a quello su gomma, considerato che il modal shift permette di limitare di molto le emissioni clima-alteranti. Pertanto ha sottolineato la necessità che gli operatori nazionali del trasporto via mare, grazie “alla loro posizione di leadership”, si spendano per far sì che i proventi dell’Ets di settore (stimati in circa 333–419 milioni €/anno dal 2026) siano destinati a rafforzare l’intermodalità marittima e in via prioritaria il sistema di contributi del Sea Modal Shift.
F.M.
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