Trani: “Ecco come Teknoship investe sul futuro seguendo il trend dei traghetti”
Il presidente dell’azienda specializzata in ofifcine motoristiche delinea le opportunità da cogliere ma ache le criticità da affrontare, fra cui anche personale e normative

Nata nel 1995 da un’esperienza familiare di navigazione profonda e concreta, Teknoship è oggi un’azienda considerata un punto di riferimento nella manutenzione motoristica per traghetti e navi passeggeri, con poli operativi a Palermo e Civitavecchia, squadre mobili su Adriatico e Mediterraneo e un’offerta che copre lavorazioni in officina e interventi prolungati a bordo.
In questa intervista a SHIPPING ITALY il presidente Federico Trani spiega come sta guidando questa fase di sviluppo, con una visione che unisce artigianato tecnico, investimenti mirati e attenzione alla formazione.
Partiamo dal raccontare come nasce Teknoship e quali sono state le tappe principali della crescita?
“Nasce nel 1995 grazie ai miei genitori, entrambi con una lunga vita in navigazione. Mio padre era direttore di macchina e ispettore, ha lavorato per Flotta Lauro e Navarma. Quando hanno chiuso quel capitolo, ha deciso di mettere a disposizione la sua esperienza sull’impianto motoristico delle navi. Siamo partiti con un ufficio ad Avegno e poi con una sede a Cagliari, che ci serve per seguire alcune tratte strategiche nel Sud Sardegna e per supportare un progetto legato alla nautica da diporto, con la manutenzione dei tender utilizzati da un’azienda locale che opera nel charter turistico. Da lì sono arrivate nuove basi: Castelsardo, Vado Ligure, Palermo nel 2009 e Civitavecchia nel 2010. Palermo e Civitavecchia oggi sono i nostri poli principali. Abbiamo una forte identità tecnica e continuiamo a crescere con una struttura snella ma solida”.
Com’è organizzata oggi Teknoship dal punto di vista tecnico e operativo?
“A Civitavecchia abbiamo due officine: una dedicata alla manutenzione e alla produzione di piccoli componenti, l’altra al magazzino e alla logistica. A Palermo abbiamo una struttura simile che gestisce anche una parte dei lavori più complessi. Poi ci sono le squadre che si muovono su tutta l’area Adriatica e Mediterranea: Brindisi, Durazzo, Grecia, Pireo. A volte restano direttamente a bordo per lavorazioni prolungate. È un modello molto flessibile, che permette di intervenire rapidamente su motori principali, ausiliari, raffreddamento, turbine e tutta la parte ancillare, ovvero tutto ciò che sta attorno al motore e che spesso non si vede, ma senza il quale la nave non va da nessuna parte. È l’insieme di pompe, circuiti, turbosoffianti, gruppi idraulici, ventilazione e sistemi di raffreddamento che permettono al motore di lavorare in sicurezza. Ogni nave ha configurazioni diverse e serve molta esperienza pratica per capirle. È proprio su questa parte che Teknoship ha costruito buona parte della sua identità tecnica, perché qui non puoi improvvisare: o conosci l’impianto o rischi di fermare l’intera macchina”.
Qual è oggi il vostro modello di lavoro e perché lo definite “artigianale”?
“Noi vogliamo restare un’azienda artigiana nel senso tecnico del termine. Preferiamo fare un intervento ma fatto bene, calibrato sul cliente, invece di farne dieci in fretta. Usiamo macchine moderne, torni tech e attrezzature nuove, ma manteniamo il principio della qualità. È un valore che ci ha trasmesso mio padre e che condividiamo con il nostro direttore tecnico Marco Calabrese, con noi da vent’anni”.
Che tipo di attività svolgete oltre alla manutenzione navale?
“Oltre alle navi lavoriamo anche su impianti motoristici non navali, come le centrali idroelettriche. Il motore è il motore: cambia il contesto, non la competenza. È stato un modo per ampliare la nostra capacità tecnica e mantenere un livello di specializzazione molto alto”.
Come avete affrontato la modernizzazione delle officine?
“Stiamo acquistando torni e attrezzature che alleggeriscono il lavoro manuale. Non per sostituire il tecnico, ma per aumentare precisione ed efficienza. Abbiamo anche modificato i processi per ridurre l’uso di oli e sostanze tradizionali. È un cambiamento lento, ma necessario, soprattutto se vogliamo essere pronti ai nuovi sistemi di propulsione”.
Lavorate molto sui traghetti del Mediterraneo? Come sta cambiando questo mercato?
“È un settore che ha ancora flotte vecchie. Rispetto ai mercantili o allo yachting, la transizione energetica qui arriva più lentamente. Le navi sono datate e non sempre è possibile inserire nuove soluzioni. Per questo stiamo preparando le nostre officine e il nostro personale ad affrontare motori a gas, ibridi o elettrici quando arriveranno in modo più sistematico”.
In questi giorni abbiamo visto l’arrivo di unità come GNV Virgo, il primo traghetto alimentato a Gnl. State già lavorando su motorizzazioni alternative o siete ancora in fase di preparazione?
“Al momento stiamo soprattutto preparando le nostre strutture. Prima di parlare di interventi veri e propri dobbiamo avere officine e procedure adatte a questi nuovi sistemi. Stiamo rendendo i nostri impianti più ordinati, più puliti, più vicini a quello che richiederanno le tecnologie future. Anche nei gesti quotidiani stiamo cambiando abitudini: usare meno oli tradizionali, introdurre attrezzature più moderne, abituarci a una manutenzione diversa da quella di una volta. È un processo lento ma necessario. Quando il mercato dei traghetti si muoverà in modo più deciso, vogliamo essere pronti, non rincorrere gli altri”.
Quali saranno le difficoltà tecniche più grandi nei prossimi anni?
“Prima di tutto il personale. L’Italia sta abbandonando i settori tecnici e rischia di perdere competenze. Trovare figure preparate è difficilissimo. Poi c’è la questione normativa: tanta confusione, poca chiarezza, percorsi di approvazione complessi. Infine, l’integrazione dei nuovi apparati: sistemi gas, gruppi batterie, inverter, turbocompressori di nuova generazione. Ogni nave sarà un caso a sé: non esiste una soluzione unica”.
Quindi la formazione interna diventa centrale?
“Sì. Dobbiamo creare noi i tecnici del domani. Dargli responsabilità, farli lavorare davvero, permettergli di sbagliare. La tecnologia corre, ma se non hai persone che la sanno usare, non serve. La crescita passa dal capitale umano”.
Che scenario prevedete per le propulsioni future?
“Non ci sarà un’unica soluzione. Le rotte lunghe tenderanno verso il gas naturale. Le rotte brevi potrebbero andare su ibrido o elettrico. Ma il vero punto è che il mercato del traghetto si ridurrà nei numeri: gli aerei cambiano le abitudini. La manutenzione resterà essenziale, ma le flotte saranno meno numerose e più tecnologiche”.
Gli armatori e i progettisti lamentano incertezza normativa. La sentite anche voi?
“Sì. La transizione green è piena di contrasti. Se uno dice bianco, l’altro dice nero. Le agevolazioni ci sono, ma spesso è complicato accedervi: troppa burocrazia. Per un’impresa piccola è impossibile orientarsi. La tecnologia green è utile, ma va costruita bene, altrimenti rischia di essere solo un modo per spostare il problema. Serve tempo e servono regole chiare”.
Parliamo di Teknoship come azienda: quali numeri avete oggi?
“Fatturiamo circa 12 milioni. Abbiamo una cinquantina di dipendenti. Puntiamo a crescere ma senza forzare. L’obiettivo è restare solidi e mantenere la qualità. Preferiamo due tecnici eccellenti che dieci improvvisati”.
Avete investito anche in operazioni di branding e presenza territoriale. Perché?
“Per noi queste operazioni non sono marketing fine a sé stesso ma una parte della nostra identità. Abbiamo scelto di investire in progetti che creano relazioni, perché crediamo che un’azienda cresca meglio se partecipa alla vita del territorio. L’esempio più importante è il PalaTeknoship: per i prossimi cinque anni abbiamo acquistato i naming rights dell’ex RDS Stadium della Fiumara, a Genova. Da ottobre è già attivo e ha ospitato eventi importanti, tra cui il concerto di Olly e, ad aprile, gli Harlem Globetrotters per il loro centenario. È un’operazione che dà visibilità ma soprattutto ci lega alla città e alla comunità che vive quello spazio.
Poi ci sono le attività sportive: siamo main partner della Sampdoria Women e sponsor di maglia. Sosteniamo anche la Sampdoria maschile, pur essendo io juventino, perché non è una questione di tifo ma di opportunità concrete per costruire relazioni e sostenere un settore che ha un impatto sociale forte. Queste attività ci permettono di entrare in contatto con mondi diversi, ampliare la rete e raccontare la nostra realtà in modo più umano.
Infine, stiamo sviluppando un progetto ancora più ampio: con la holding di famiglia realizzeremo un centro di circa 3.300 metri quadri che unirà ristorazione, fitness, sport da combattimento, studi medici e spazi aggregativi. Sarà un polo sociale, un luogo dove far crescere competenze e relazioni. Credo molto nella socialità: mette in moto idee, crea fiducia, fa emergere talenti. Le macchine e la tecnologia sono utili, ma senza persone non funzionano. Le nostre iniziative territoriali servono proprio a questo: dare valore alle persone e rafforzare l’identità dell’azienda”.
Qual è il vostro messaggio al mercato in questa fase di transizione?
“Bisogna investire sulle persone e nei luoghi dove le persone crescono. Stiamo creando un polo sociale con ristorazione, sport, servizi. Non è un vezzo: è parte del nostro modo di vedere il lavoro. La tecnologia cambia, ma la qualità del lavoro umano resta la chiave. Se non investiamo in questo, la transizione sarà solo una corsa dietro alle macchine”.
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