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Tassazione porti: l’Italia ha meno di due mesi per dire a Bruxelles che modello intende adottare

Dopo il definitivo diktat della Commissione europea che impone all’Italia di porre fine alla defiscalizzazione (Irap) dell’attività d’impresa svolta dalle Autorità di sistema portuale, Roma potrà contare su dodici mesi di tempo per mettersi in regola ma ha meno di due mesi invece per scegliere e comunicare quale sarà il futuro modello che intende adottare […]

di Nicola Capuzzo
17 Dicembre 2020
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Dopo il definitivo diktat della Commissione europea che impone all’Italia di porre fine alla defiscalizzazione (Irap) dell’attività d’impresa svolta dalle Autorità di sistema portuale, Roma potrà contare su dodici mesi di tempo per mettersi in regola ma ha meno di due mesi invece per scegliere e comunicare quale sarà il futuro modello che intende adottare (salvo che il nostro Paese on scelga di ricorrere alla Corte di Giustizia Ue).

Lo evidenzia Assiterminal commentando il documento dove la Commissione Europea spiega le motivazioni della sua scelta: “I tempi ormai sono stretti: entro il 4 febbraio il Governo deve ‘gestire’ una posizione formale per definire il processo!” sottolinea l’associazione nazionale dei terminal portuali preannunciando che ne parleranno “il 14 gennaio in una tavola rotonda che stiamo organizzando con il contributo del cluster, della politica e di insigni giuristi”.

Nelle ultime righe del documento in effetti c’è scritto: “L’Italia informa la Commissione, entro il termine di due mesi a decorrere dalla data della notifica della presente decisione, delle misure adottate per conformarvisi”. La scadenza è dunque fissata al 4 febbraio prossimo.

Secondo i sindacati confederali Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti “è evidente la volontà della Commissione europea di stravolgere l’assetto giuridico delle nostre Autorità di sistema portuale, indirizzandolo verso la configurazione di impresa pubblica oppure di Ente pubblico economico”. Condividendo alcuni contenuti esposti anche dal consulente giuridico Gaudenzio Parenti, secondo i sindacati “la Direzione Generale per le concorrenza va ben oltre le contestazioni riguardanti l’esenzione del pagamento dell’imposta sui canoni demaniali da parte delle AdSP, contestando ora anche la tassa di ancoraggio e sulle merci sbarcate e imbarcate, definendole attività economiche”.

Questa in realtà è l’impostazione che Bruxelles aveva già da molto tempo reso nota all’Italia come ben spiegato dal segretario generale di Assoporti, Oliviero Giannotti, dieci mesi fa.

“La Commissione – proseguono le organizzazioni sindacali – insinua che il nostro mercato portuale sia in concorrenza con quelli della logistica ferroviaria o aeroportuale e lo fa senza tenere conto che in Italia c’è la legge 84/94 sui porti a controllare e regolare il mercato. Con questa decisione, in maniera maldestra, si cerca di azzerare la legge speciale sulla portualità e si rischia di radere al suolo l’intera struttura normativa e legislativa esistente, annientando decenni di lavoro e di lotte per la salvaguardia dei lavoratori portuali e la regolamentazione di un mercato particolare quale quello dei porti”.

Secondo Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti “è sbagliato paragonare il nostro sistema a quello degli altri paesi dell’Unione dove i porti sono delle vere e proprie imprese perché offrono servizi. Ancora oggi è evidente la sottovalutazione con cui i nostri governi hanno dal 2012 affrontato tale criticità e, conseguentemente, non sono stati per niente convincenti sulle sostanziali diversità tra noi e l’Europa”.
“Ora più di prima – chiedono infine le organizzazioni confederarli dei trasporti – è necessario e urgente un incontro con il Mit per capire quali sono le azioni programmate a difesa dei nostri porti e del bene pubblico. È tempo di agire e di farlo in fretta, anche perché l’ultimo pronunciamento dell’Ue prevede l’adozione dal 2022, termine entro il quale l’Italia dovrà adeguarsi”.

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