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Ok alla modifica di progetto e Via della nuova diga di Genova

Il Ministero dell’Ambiente cambia idea, l’imbasamento della vecchia diga potrà esser riusato senza vagliatura: 9 mesi risparmiati, ma nessun chiarimento se il conseguente guadagno sarà per l’appaltante (lo Stato) o per l’appaltatore (il privato)

di Andrea Moizo
10 Marzo 2023
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Diga foranea porto di Genova

A poco più di un mese dall’invio della richiesta, il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha dato riscontro positivo all’Autorità di Sistema Portuale e al consorzio appaltatore dei lavori di realizzazione della nuova diga foranea da 950 milioni di euro.

La cordata guidata da Webuild, che pure in sede di gara qualche mese prima aveva rassicurato sulla fattibilità del cronoprogramma, a dicembre aveva lanciato l’allarme: la modalità prevista dal progetto preliminare per il riutilizzo, nello scanno di imbasamento, del materiale di risulta della demolizione e del salpamento dello scanno della diga esistente (stimato in circa 1,1 milioni di metri cubi) avrebbe richiesto almeno due anni, contro i 15 mesi a disposizione.

Ciò in ragione del fatto che i progettisti preliminari, avallati poi dal Ministero stesso in sede di Valutazione di impatto ambientale, hanno previsto la classificazione del materiale di demolizione e di salpamento di pezzatura contenuta quale rifiuto, si da render necessaria per legge, ai fini della reimmersione, un’operazione (previo trasbordo a terra) di ulteriore frantumazione e vagliatura che avrebbe consentito un’accurata cernita fra ciò che avrebbe potuto essere riutilizzato e ciò che avrebbe dovuto essere smaltito (ipotizzata ad esempio “l’eventuale presenza di amianto negli aggregati del calcestruzzo”).

L’appaltatore ha però eccepito sui tempi di tale procedura e sul fatto che la frantumazione ulteriore avrebbe comunque reso inutilizzabile parte del materiale (perché troppo piccolo). E ha evidenziato che la legge “prevede limiti di concentrazione nell’eluato del test di cessione per sostanze quali cloruri, solfati e fluoruri che sono tipiche delle acque marine; in assenza di adeguati accertamenti (oggi non ancora disponibili), non può certo darsi per scontato che materiali che si trovano da oltre 100 anni immersi in acqua di mare non presentino elevati rilasci di tali sostanze”. Molto del pietrame dello scanno esistente, cioè, non avrebbe potuto guadagnare la declassificazione da rifiuto indispensabile alla reimmersione, in ragione delle sostanze da esso assorbite in decenni sott’acqua, fisiologiche secondo l’appaltatore (ma esattamente il motivo della classificazione a rifiuto e della conseguente procedura di attenta disamina).

Da qui la proposta di evitare la classificazione di “rifiuto”, in modo tale da semplificare amministrativamente e operativamente la procedura di riuso, rendendo possibile in sostanza il riutilizzo diretto del materiale, che una volta tratto dallo scanno di imbasamento della diga esistente potrà essere riversato direttamente, via mare, in quello della nuova diga.

Oltre al risparmio di tempo, Webuild ha evidenziato come tale modifica garantisca, attraverso la “riduzione delle operazioni di trasporto dei materiali di scanno”, la riduzione di “quantitativi di carburante utilizzati, impatto acustico, emissioni in atmosfera, produzione di rifiuti, quantitativi di materiali vergini da reperire nelle cave di prestito per la compensazione dei materiali dello scanno di imbasamento non più riutilizzabili”. Senza dimenticare che non dovrà essere acquistato, allestito e alimentato un impianto di frantumazione che, secondo il progetto, avrebbe dovuto lavorare h24 per 7 giorni su 7 per due anni.

Effetti ambientalmente positivi (tanto da convincere al dietrofront e alla rinuncia alla vagliatura di approfondimento anche il Ministero, che ha approvato ieri la modifica di progetto e Via) che hanno evidentemente un’importante ricaduta economica. Né Webuild né l’Adsp, però, hanno voluto quantificarla né spiegare se tale risparmio sarà detratto dal corrispettivo previsto per l’appaltatore – magari tamponando la perdita dal quadro finanziario dell’opera dei 57 milioni di euro di finanziamento che la Regione ha ritirato e che la stazione appaltante non ha ancora spiegato come sarà coperta – ovvero se per Webuild e soci si tratterà di un guadagno.

L’ente ha però reso noto che l’avvio del cantiere slitterà di un mese, rispetto all’ultima previsione (risalente allo scorso novembre) del 3 aprile, fissando ora “la prevista partenza delle attività propriamente di cantiere in data 4 maggio 2023”. Le prossime settimane infatti serviranno per “perfezionare la consegna dell’ultima tranche di documentazione relativa alla progettazione esecutiva, sarà inviato al Mase il report di ottemperanza alle prescrizioni della Valutazione di Impatto Ambientale (Via) e giungeranno a conclusione alcune attività di indagine propedeutiche alla progettazione e all’avvio del cantiere”.

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