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“Il Green Public Procurement centrale per la decarbonizzazione del trasporto via mare in Italia”

L’osservatorio Blue Economy Monitor di Intesa Sanpaolo e Sda Bocconi auspica contratti della durata di 12 anni e bandi anticipati rispetto all’avvio del servizio per favorire la transizione

di REDAZIONE SHIPPING ITALY
7 Novembre 2025
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Nella decarbonizzazione del trasporto marittimo italiano, un ruolo fondamentale sarà giocato dalla Pubblica Amministrazione e dalla sua capacità di orientare i suoi appalti in una ottica di Green Public Procurement.

Lo sostiene uno studio del Blue Economy Monitor, nuovo osservatorio di Intesa Sanpaolo e Sda Bocconi School of Management, che muove da alcune premesse: le difficoltà, in generale, di un percorso di transizione green del settore del trasporto via mare (investimenti iniziali elevati, frammentazione regolatoria, cantieri navali ‘pieni’), che in Italia si sommano ad altre specifiche del particolare contesto.

Tra queste, la presenza di 56 porti commerciali (che limitano la possibilità di raggiungere economie di scala nel realizzare infrastrutture per carburanti alternativi), la predominanza dei traffici di linea (oltre il 70% degli attracchi è relativo a traghetti, navi da crociera e container) che richiedono un approccio coordinato fra più porti per gli approvvigionamenti di fuel alternativi (o che mettono in concorrenza diversi mercati nazionali ), il peso tra questi dei collegamenti di servizio pubblico (oltre 220 le navi impegnate), le ‘solite’ difficoltà procedurali e autorizzative, anche in tema di depositi costieri per Gnl, la vicinanza degli scali ai centri cittadini.

In questo quadro, rileva l’analisi, le politiche pubbliche si sono finora concentrate in due direzioni, ovvero lo sviluppo del cold ironing e dell’impiego di Gnl, insieme destinate però a produrre effetti molto limitati in termini di abbattimento delle emissioni anche nei prossimi anni.

La decarbonizzazione del trasporto via mare in Italia, insomma, richiede un cambio di passo e un approccio sistemico. Il quale secondo i ricercatori dovrà prevedere la Pubblica Amministrazione tra gli attori principali del processo.

Il primo punto sottolineato dallo studio è quindi la necessità di rafforzare il Green Public Procurement, ovvero la capacità di appalto della Pa in chiave green “rivedendo le procedure di assegnazione dei contratti di servizio” e introducendo elementi di incentivazione all’utilizzo di carburanti alternativi e al retrofitting delle motorizzazioni e delle reti elettriche di bordo.

A questo tema il report dedica particolare attenzione, andando a rilevare la necessità di svecchiare la flotta in servizio sui collegamenti di continuità territoriale, ma segnalando anche come nel 2021 il Mit abbia di fatto rinunciato a utilizzare i bandi di gara per le linee di servizio pubblico come strumento per la decarbonizzazione (ad esempio con obblighi sul naviglio). Si tratta di un punto a cui però, suggerisce lo studio, il dicastero potrà iniziare a porre rimedio già nel 2026, quando andranno a scadenza gli appalti per la Genova – Porto Torres, la Civitavecchia – Arbatax – Cagliari e la Cagliari – Napoli / Palermo, su cui il Mit potrà prescrivere requisiti più stringenti “come la necessità di operare le linee con navi dotate di cold ironing, motorizzazione ibrida o alimentate a carburanti alternativi”. In materia lo studio evidenzia la necessità di adottare iniziative simili anche per i collegamenti svolti con unità veloci, che avendo spesso stazza inferiore alle 400 GT sono esentate sia dalle disposizioni Imo/Marpol e FuelEU Maritime, sia dalla regolamentazione Ets.

Un altro punto critico degli appalti ‘tipici’ per servizi di trasporto marittimo italiani, secondo l’osservatorio, riguarda la struttura temporale dei bandi, aggiudicati senza anticipo rispetto all’avvio del servizio e con richiesta di disponibilità del naviglio. Vincoli che insieme “restringono il mercato” ai soli operatori che abbiano già a disposizione le navi da utilizzare, quindi impedendo l’avvio di progetti di nuove costruzioni. Da qui la proposta di introdurre la possibilità di attivare i servizi “dopo 2/4 anni dall’aggiudicazione” in modo da consentire la costruzione di nuove unità. Un altro limite in questo senso è la durata dei relativi contratti di servizio (al solito di massimo 6 anni, a fronte però di una vita utile delle navi di 30), che i ricercatori suggeriscono di portare a 12 in modo da incentivare gli investimenti in nuovo naviglio, come ammissibile dalla disciplina comunitaria.

Lasciando gli appalti della Pa, e passando ad altri ambiti di intervento, lo studio cita poi la necessità di un coordinamento nelle iniziative per il cold ironing, in modo che siano uniformate “governance, tariffe e modalità di gestione dell’alimentazione elettrica” tra i diversi porti.

Un altro ambito su cui puntare, data anche la presenza di una filiera avanzata rispetto ad altri contesti, è poi quello delle tecnologie per la Carbon Capture, a bordo e a terra, sfruttando le competenze industriali italiane di soggetti come Fincantieri, Saipem, Snam, Eni.

Lo studio suggerisce quindi di attivare strategie ad hoc su alcune rotte di particolare rilevanza socio- economica (come la Napoli-Palermo o l aLivorno-Olbia) per favorire lo sviluppo di green corridor, in modo da consentire l’accesso all’Innovation Fund, affiancato dai fondi Afif (Altrenative Fuel Infrastructure Facility) del programma Cef (Connecting Europe Facility).

Infine, l’analisi sottolinea la necessità di una pianificazione energetica portuale coordinata, tramite un aggiornamento dei Deasp (Documenti di Pianificazione Energetica e Ambientale di Sistema Portuale) in modo uniforme e sinergico, considerando le interdipendenze tra porti e linee (crociere, ro-ro e container).

F.M.

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