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Santi: “Rischiamo di veder le navi lasciare i porti nazionali per altre destinazioni”

Il presidente di Federagenti invoca il coordinamento del comitato interministeriale e la guida del Presidente del Consiglio o suo delegato per garantire il perseguimento degli obiettivi strategici nazionali e la rapida ed efficace attuazione degli investimenti

di Nicola Capuzzo
31 Dicembre 2022
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(Questo articolo rientra fra i contenuti pubblicati all’interno dell’inserto “Un anno di SHIPPING in ITALY” – Edizione 2022 – CLICCA e LEGGI)

Contributo a cura di Alessandro Santi *

* presidente di Federagenti

 

Potremmo parlare come si è fatto per mesi della no-covid policy cinese (che non sembra scemare), dei noli stratosferici, frutto di fantomatici ‘accordi’ (noli peraltro ora nuovamente crollati miseramente nella preoccupazione quasi generalizzata), della crisi energetica che ha cambiato la struttura dei traffici nei nostri porti, dei corridoi del grano via terra (impossibili) e via nave (possibili), di siccità memorabili tali da cambiare logistiche nel cuore dell’Europa e degli Stati Uniti produttivi che rappresentano dei dogmi, delle (‘fantastiche sorti e progressive’) di re/near-shoring o dei fenomeni di autosufficienze energetica e alimentare puramente utopici, di price cap invocati su
mercati totalmente finanziarizzati (si stima che il volume dei derivati possa valere 8 volte il valore del GDP mondiale). E partendo da tutto questo certamente potremmo tentare di dare un giudizio sul recente passato e sul presente e magari tentare di prevedere il futuro prossimo del mondo dello shipping italiano. Credo che oggi l’analisi di questi fenomeni possa essere poco affidabile: basta un battito d’ali di farfalla….

Ritengo invece più proficuo partire da una valutazione più generale sulla complessità di questi mesi passati e, senza dubbio di smentita, di quelli futuri. Come ha ben evidenziato il prof Gianmario Veronese all’inizio dell’anno accademico della Bocconi quest’anno, siamo di fronte a un tale numero di variabili tra di loro interdipendenti e con tanti stati possibili che non ci può essere di sufficiente aiuto il calcolo numerico degli elaboratori: ritorna centrale la capacità di analisi dell’uomo che sappia districarsi nella correlazione di tutte queste variabili nei vari stati. In una situazione di questo tipo è altrettanto evidente che gli strumenti usati finora per risolvere i problemi possono non essere idonei per affrontare scenari di tale complessità. Pandemia, guerra, cambiamenti climatici stanno ingenerando tutta quella fenomenologia di effetti su economia, ambiente e attività sociali di cui sopra abbiamo fatto un parziale elenco certamente non esaustivo ma su cui fiumi di parole vengono quotidianamente prodotti.

In una Europa che non ha neppure una strategia comune di politica estera, il nostro Paese può e deve fare molto ‘motu proprio’ come ha fatto già nel secondo semestre dell’anno scorso: PIL in forte recupero, una sensibile riduzione del rapporto debito/PIL, un’inflazione che era apprezzabilmente più bassa, rispetto agli usuali partner europei grazie alla sua peculiare conformazione delle attività industriali di trasformazione basate su filiere di approvvigionamenti corte e resilienti. Ma oggi e per il futuro prossimo, non può bastare fare affidamento alla sola forza imprenditoriale del Paese (pensiamo alla spinta fondamentale data dall’economia turistica e dagli
imprenditori italiani di questo settore durante quest’anno). Non possiamo continuare a essere un paese dove la visione strategica ha sempre e comunque la durata del ‘mandato’ che nel caso del Governo è sempre stato misurato in mesi e non anni, almeno nell’ultimo decennio (ventennio?).

Non possiamo essere il paese che riesce a ‘mettere a terra’ meno del 50% dei finanziamenti europei (terzultimo nell’Europa dei 27), non può essere il paese che per dare la luce a un’opera strategica impiega mediamente 7,5 anni, non possiamo essere il paese che per realizzare un’opera importante deve nominare un commissario, così facendo abdicando dal suo ruolo e riconoscendo che il proprio sistema di regole dello Stato è disastrosamente inefficacie. E così facendo, dopo aver voltato per anni le spalle al mare, rischiamo oggi, che lo sguardo sembra aver ritrovato l’angolazione appropriata, di veder le navi lasciare i porti nazionali per altre destinazioni.

Dare un impulso reale alle infrastrutture strategiche da realizzare rapidamente anche ma non solo con i soldi del PNRR (partita appunto appesa al filo dell’incapacità tutta italica di perdere i finanziamenti europei); garantire l’accessibilità nautica e terrestre da mettere nel registro delle attività ordinarie e non straordinarie con procedure standard; governare, nell’ottica dell’interesse nazionale, attraverso un sistema di regole chiare i fenomeni di verticalizzazione e concentrazione dei mercati invece di pensare di bloccarli magari con azioni autocratiche; garantire gli strumenti necessari alla competitività della bandiera nazionale e contribuire a lenire gli impatti pesanti legati alla decarbonizzazione che potrebbero essere devastanti in particolare in un comparto di cui l’Italia è protagonista assoluta come quello delle autostrade del mare; potenziare con risorse umane e formazione adeguata il sistema di governo di porti e mare; sottoporre ad attenta analisi di rischio le strutture portuali e retro portuali per analizzarne la loro resilienza, in primis ai cambiamenti climatici estremi.

Tutto questo sotto il coordinamento del comitato interministeriale e la guida del Presidente del Consiglio o suo delegato per garantire il perseguimento degli obiettivi strategici nazionali e la rapida ed efficace attuazione. Solo così quegli uomini che saranno incaricati a gestire a vari livelli e su piani concorrenti a gestire la complessità potranno avere gli strumenti idonei a dare un contributo importante al nostro Paese perché continui a rappresentare la seconda manifattura e il terzo PIL dell’EU27 e tra i paesi più apprezzati a livello mondiale per la qualità della vita.

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