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“La centralità del cluster marittimo è diventata come per incanto un valore strategico”

Santi (Federagenti) sostiene che le prospettive per il futuro sono tanto imprevedibili quanto contrassegnate da indicatori tutt’altro che positivi

di Redazione SHIPPING ITALY
3 Gennaio 2024
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[Questo contenuto rientra fra quelli pubblicati all’interno dell’inserto speciale “Un anno di SHIPPING in ITALY – Edizione 2023]

 

Contributo a cura di Alessandri Santi *

* presidente Federagenti

 

Un anno fa, da queste colonne, denunciavamo una sorta di senso d’impotenza nel formulare previsioni per l’economia mondiale e in particolare per l’interscambio via mare e quindi l’intero settore dello shipping.
Ma all’insegna del “peggio deve ancora arrivare”, focalizzavamo comunque l’attenzione su quanto stava accadendo nel nostro paese e sui rischi cogenti di una massiccia fuga di navi dai nostri porti, ancora affetti da nanismo, dispersione di risorse e pressione della burocrazia.

Oggi possiamo affermare che il peggio non solo è arrivato e che le prospettive per il futuro sono tanto imprevedibili quanto contrassegnate da indicatori tutt’altro che positivi.

La guerra in Israele e nella Striscia di Gaza ha infiammato tutti i Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa rendendo ulteriormente precari e fragili gli equilibri anche del Mediterraneo. I sogni di un reshoring o di un near shoring che avrebbero accorciato la catena logistica, grazie all’insediamento di imprese industriali, a titolo di esempio della componentistica del comparto automotive, in Paesi del Magreb, hanno trovato conferme solo marginali e di certo oggi il processo di riscrittura della globalizzazione risulta essere più complesso che mai.

Alzando ulteriormente l’asticella di un’analisi che, per la rapidità dei cambiamenti in atto, non può basarsi su nulla di definitivo, un dato positivo nel nostro Paese, ma anche a livello internazionale, sta tuttavia emergendo prepotentemente: il ruolo del mare e di tutta l’economia e gli interscambi che dal mare dipendono, sia nello scenario geopolitico mondiale, sia nella definizione di nuovi equilibri, a oggi precari, nell’interscambio mondiale di merci.

E per la prima volta dopo decenni in cui categorie come quella degli agenti marittimi erano scarsamente ascoltate e considerate alla stregua di piccole Cassandre di periferia, la centralità del cluster marittimo è diventata come per incanto un valore strategico essenziale dal quale politica, impresa ed economia non possono prescindere se vogliono affrontare le sfide di anni che si preannunciano a dir poco tempestosi.

Non è un caso quindi che, sia pure con una formula a efficacia ridotta, il governo italiano abbia deciso di dotarsi di un Ministero del mare e non è parimenti un caso che si torni a parlare della necessità di una regia seria e centrale dei porti italiani che consenta di concentrare le risorse in un disegno strategico di sviluppo che sia di effettivo sostegno per il tessuto economico del Paese nel suo complesso. Riforma che potrebbe vedere la luce già nei prossimi mesi e che ci auguriamo si concentri sulla sostanza e non sulla forma, e non si riduca solo a cambiare i nomi delle scatole o, peggio, ad aumentarne il numero, nella catena di governance dei porti e della marittimità italiana.

Ma da alcune settimane si sta facendo strada anche un altro pensiero forte, che potrebbe condurre a una riflessione globale delle politiche spesso oltranzistiche sulla transizione energetica. Dopo che per decenni il nucleare è stato considerato il grande Satana, muovendo piazze e cortei e diventando una scelta reietta per molti Paesi, Italia in primis, la COP28 sul clima ha rivalutato questa opzione, e, anche se in modo goffo, ha rimesso in gioco il bando all’utilizzo delle fonti fossili di energia.

Un segnale forte specie per un’Europa che su queste materie strategiche (includendovi l’acciaio e l’automotive) ha fatto ‘’un passo più lungo della gamba’’ che rischia di penalizzare in modo letale il suo tessuto economico a fronte di un’inerzia pressoché totale degli altri continenti, Asia e Africa in primis, che stanno inesorabilmente minacciando l’ambiente permettendoci di sventolare la bandiera dell’elettrico.

Di certo – e ribadisco che le previsioni e gli obiettivi potrebbero essere rovesciati nel giro di pochi mesi – il tema di una revisione dei dogmi della transizione energetica, dominerà il dibattito generale e forse come sempre si potrà dire che lo shipping e la portualità hanno contribuito ad accendere un faro sul tema. Tutto questo potrà essere esaltato se le prossime elezioni europee sanciranno un cambiamento nel pensare comune di cittadini europei per la prima volta, dopo decenni, costretti a fare i conti con ansie e preoccupazioni che sembravano essere, erroneamente, confinate nella memoria.

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